La scienza si pone un obiettivo prioritario: la conoscenza. Essa è in continuo divenire, interrelazione ed accumulazione. Purtroppo, nel campo della biologia si deve fare i conti con un forte ritardo rispetto ad altre scienze. Questo ritardo si sta rapidamente colmando, grazie ad un generale anche forzato interesse che scaturisce dalle troppo rapide trasformazioni dell’ambiente che ci circonda di cui le alterazioni del clima su scala planetaria sono un’inequivocabile testimoniaza. Comprendere l’evoluzione dell’ambiente naturale del nostro pianeta, analizzare e capire cosa sia accaduto negli ultimi due secoli e quale impatto ciò abbia, stia e avrà sul prossimo futuro rappresenta la più urgente preoccupazione che l’uomo contemporaneo dovrà risolvere. L’evoluzione ha da sempre obbedito a ritmi e tempi dettati dalle condizioni circostanti ai tantissimi ecosistemi locali, ove animali, piante e microorganismi interagiscono e competono per un miglior adattamento alle condizioni circostanti ed entro certi limiti, per modificarle. Queste modificazioni non avvengono mai durante la vita del singolo organismo, ma hanno bisogno di tempi lunghi per permettere alle informazioni raccolte e trasferite alla scala dei discendenti di produrre quelle modifiche di adattabilità necessarie a garantire la sopravvivenza della specie di riferimento. Biologia ed ecologia assumono, quindi, un fortissimo legame interdisciplinare. Meccanismi evolutivi e fenomeni ecologici divengono strettamente interdipendenti. L’Uomo appartiene al regno animale, alla classe dei mammiferi, all’ordine dei primati, alla famiglia degli ominidi, al genere homo, alla specie homo sapiens, quindi non può sfuggire alle grandi leggi dell’ evoluzione sottostanti alla bioecologia.
Tutti gli organismi, compresi gli esseri umani, procedono su due binari: uno appartiene all’esistenza individuale, l’altro all’evoluzione della propria specie. Le informazioni contenute nel genoma restano immutabili nella vita dell’individuo, ma nel tempo, quindi nelle discendenze, questo messaggio muterà e detterà nuove istruzioni per l’adattamento della specie alle condizioni ecoambientali circostanti. Nessun animale ha la coscienza di ciò tranne l’uomo che grazie alla sua evoluzione culturale ne ha preso conoscenza anche se solo recentemente. I processi di adattamento solo lunghi e lenti giacché le trasformazioni ambientali sono anche esse lunghe e lente fatti salvi eventi catastrofici imprevedibili come quello che si verificò ai tempi dei dinosauri determinandone l’estinzione. Forse un enorme meteorite o una inimagginabile eruzione vulcanica produssero una repentina trasformazione delle condizioni ambientali che non consentì più gli adattamenti evolutivi a moltissime specie. Purtroppo l’animale uomo, grazie a proteine che nel corso dell’evoluzione, a differenza degli altri animali, gli hanno consentito di elaborare il concetto di futuro, ha costantemente applicato tutte le strategie possibili per migliorare la qualità della vita per se e per i suoi discendenti. Predatore insaziabile di energia al servizio del suo egoismo, ha inseguito progressivamente ed indiscriminatamente, dall’avvento dell’industrializzazione, la rincorsa e la conquista del proprio benessere, creando una industrializzazione esasperata per la produzione di tutto e di più, pur non equamente distribuita ( ma questo è un altro discorso ), conseguendone una emissione di gas serra nell'atmosfera che sta determinando le mutazioni del clima a ritmi così veloci verso i punti di non ritorno che non permetteranno alle grandi leggi della ecobiologia di uniformarsi a questi tempi. Si profila un’altra grande estinzione come quella dei dinosauri? 

Da autorevoli fonti:

“La destabilizzazione climatica iniziatasi con la nascita dell’industrializzazione, ha avuto una forte impennata solo di recente. Il biossido di carbonio nell’atmosfera intorno alla metà del 19° secolo era di circa 280 parti per milione mentre soltanto 100 anni dopo era cresciuto a 360 parti per milione.
Dal 1950 al 1999 solo 11 paesi hanno emesso 530,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica così imputabili: gli U.S.A. con 186,1 miliardi, l’ Unione Europea con 127,8 , la RUSSIA con 68,4, la Cina con 57,6, l’ Ucraina con 21,7, l’ India con 15,5, il Canada con 14,9, la Polonia con 14,4, il Sud Africa con 8,5, il Messico con 7,8 e l’Australia con 7,6.
Aumentando il biossido di carbonio nell’atmosfera, le molecole intrappolano più calore favorendo l’innalzamento della temperatura globale. Insieme agli altri gas serra, come il metano (circa il 10% del foraggio dato agli animali allevati industrialmente finisce nell’atmosfera sotto forma di metano) e l’azoto, questo cocktail gassoso diventa catastrofico. Il primo effetto di questa miscela e delle sue conseguenze è rappresentato dalla conseguente inevitabile instabilità climatica. In un rapporto del 1994, l’ IPCC ( Intergovernmental Panel on Climate Change ) rilevava che le emissioni prodotte dalla combustione di carbone e petrolio avevano intrappolato una eccessiva quantità di calore solare e che le preoccupanti alterazioni riscontrate riguardavano l’ aumento in molte parti del globo dell’incidenza di alte temperature, di siccità estreme e di alluvioni catastrofiche con conseguenti irreversibili modificazioni di interi ecosistemi con insorgenza di epidemie e potenziali pandemie.
L’ IPCC con il rapporto Climate Change 2001 frutto di due anni di lavoro di oltre 1000 scienziati, afferma che le temperature del pianeta continueranno a salire di almeno 5,8 gradi entro la fine di questo secolo. Questo valore è comunque superiore di oltre il 100% a quello previsto nello stesso rapporto presentato dal gruppo di scienziati datato 1985 con conseguente conclusione che l’accelerazione è risultata imprevista nelle proiezioni di 15 anni prima. E se questi 5,8 gradi dovessero subire la stessa imprevedibile accelerazione rispetto alla previsione? Già questo valore causerà impatti disastrosi sugli ecosistemi: alluvioni, frane, cicloni, con le conseguenti inevitabili catastrofi, carenze idriche , aumento e sviluppo di nuove malattie, insomma sconvolgimenti con visioni apocalittiche conseguendone danni per miliardi e miliardi di dollari. Il Global Commons Institute ha valutato che i danni in conseguenza del mutamento climatico potrebbero assommare a 200 miliardi di dollari entro il 2005 e 400 miliardi entro il 2012 ma nel 2051 potrebbero superare i 20.000 miliardi di dollari.
Le prime aree colpite dai disastri climatici saranno le zone costiere causa l’innalzamento del livello dei mari: intere città con le loro popolazioni, piccoli stati insulari, potrebbero essere devastati da uragani e violente tempeste oltre che dall’aumentato livello del mare. Una delle condizioni per cui si generano i cicloni tropicali è la temperatura della superficie marina di 26 o 27 gradi. Il riscaldamento globale inevitabilmente innalza la temperatura del mare conseguendosi la formazione di uragani devastanti. I cicloni rappresentano uno dei disastri umani più distruttivi con cui l’uomo dovrà sempre più confrontarsi. I cicloni mentre una volta erano classificati come eventi rari, oggi sono sempre più annoverati tra le crisi ecologiche provocate dall’uomo e scatenate dalla combinazione tra mutamento climatico, industrializzazione e deforestazione. Grazie a questi agenti, la velocità media del vento dei cicloni è passata da una media di 73 km. orari che si registrava fino alla metà del secolo scorso a quella di 260 km. orari di oggi e più la temperatura del mare si alzerà più la frequenza dei cicloni si incrementerà.
Si riportano solo alcune delle centinaia di calamità che sono accadute negli anni tra il 1995 ed il 1999 connesse al cambiamento climatico: nel 1995, un’inondazione nel Bangladesh colpisce quasi 10 milioni di persone con oltre 70 morti. Sempre nel 1995 , l’isola di St Thomas nei Caraibi è devastata dagli uragani. In Europa, contemporaneamente, i Paesi Bassi e la Francia vengono colpiti da alluvioni mai ricordati a memoria d’uomo. Ancora nel 1995 nella Spagna meridionale, a Cadige, si registra la più forte siccità mentre in Russia si toccano i 34 gradi inaspettabili ed in India settentrionale la temperatura torrida raggiunge i 45 gradi uccidendo 300 persone. A Chicago muoiono per il caldo più di 500 persone. La Gran Bretagna registra l’ estate più calda dagli ultimi 350 anni e la stagione più secca dal 1721. Il nordest del Brasile soffre per la peggiore siccità del secolo e nel giugno in Canada gli incendi bruciano intere foreste propagandosi per quasi 100.000 ettari al giorno. Anche in Mongolia bruciano 280.000 ettari di foreste e di pascoli.
Nel 1996 in India muoiono 2000 persone nell’ Andhra Pradesh a causa del più intenso ciclone del secolo. Sempre nel 1996 in Angola muoiono 600 persone per i tifoni mentre nel Nord Corea 5 milioni di persone perdono tutto per alluvioni inaspettate. In Oklahoma e nel Kansas la peggiore siccità del secolo distrugge milioni di ettari di frumento facendo scendere le riserve di grano degli Stati Uniti al livello più basso degli ultimi 50 anni. Sempre per siccità si registrano crisi alimentari ed idriche In India nel Gujarat, nel Rajasthan, nel Madhya Pradesh, nell’ Orissa e nel Chattisgarh.
Nel 1997 per piogge torrenziali, nelle Filippine, muoiono 30 persone e 120.000 restano senza casa. Sempre nel 1997 una successione di gelate e tempeste provoca 25 milioni di dollari di danni nel Pacifico nord occidentale. In Bolivia un alluvione cancella 100.000 fattorie. Il fiume Ohio supera di 12 metri il livello idrografico trascinando 57 persone verso la morte e migliaia debbono abbandonare le loro case lungo il suo bacino cioè nell’ Indiana, nel Kentucky, in Ohio e West Virginia. Nel Manitoba canadese, nel North e South Dakota e in parte del Minnesota, l’inondazione del Red River fa contare oltre 2 miliardi di dollari per danni. Ancora nel 1997, le temperature invernali a Rio de Janeiro arrivano a toccare i 42 gradi.
Nel 1998, a gennaio, in Perù cadono 13 litri di pioggia per metro quadrato in 14 ore, distruggendo oltre 800 chilometri di strade e facendo crollare 60 ponti. Il mese dopo, in Ecuador, 3084 persone si ammalano di colera mentre per gli allagamenti e le frane muoiono 108 persone e 28.000 perdono la casa. Sempre nello stesso anno, i fiumi Juba e Shabeele straripano uccidendo nel Corno d’ Africa oltre 2000 persone e milioni di capi di bestiame. Ancora nel 1998 si abbatte una micidiale tormenta di neve sugli altipiani occidentali della Cina: oltre 60.000 pastori della provincia di Qinghai e del Tibet perdono 750.000 capi di bestiame, quasi tutte le risorse alimentari e 48 di loro anche la vita. La nevicata fu inaspettatamente più intensa della media di almeno 4 volte con temperature scese fino a 49 gradi sotto zero. Nello stesso mese, nel Laos, molte risaie sono devastate dalle inondazioni procurando una crisi alimentare per oltre 10 milioni di Laotiani che rimasero a rischio di morte per denutrizione. Nello Yemen, nel giugno dello stesso anno, 330 persone perdono la vita per la peggiore alluvione degli ultimi 40 anni. L’ inondazione, poi, divenuta acqua stagnante, fa scoppiare un’epidemia di malaria provocando altri 30 morti e 168.000 infettati.
In Messico, più di 13.000 incendi devastano intere aree lasciando morti e devastazione facendo scattare l’allarme ambientale a Città del Messico e quando la nuvola di fumo si sposta sul golfo , il Texas entra in stato di allarme sanitario. In Indonesia e Malaysia il fumo degli incendi provoca situazioni di emergenza con chiusura degli aeroporti e delle scuole mentre due navi entrano in collisione, sempre per il fumo, nello stretto di Malacca conseguendone 29 morti che si assommano ai 234 di un incidente aereo provocato dal fumo di incendi forestali. Altre centinaia di morti si contano per incidenti stradali causati dalla scarsa visibilità.
Nel 1999 un micidiale ciclone devasta l’ Est dello stato di Orissa nell’ India orientale: danneggia circa due milioni di case e 730.000 ettari di risaie in dodici distretti costieri. L’80% delle palme da cocco vengono sradicate o danneggiate irrimediabilmente e tutte le piantagioni di papaie e di banane sono cancellate. Muoiono più di 300.000 capi di bestiame, più di 1.500 pescatori perdono tutto e più di 15.000 stagni vengono contaminati dalla salsedine. I decessi delle persone, pur non essendoci stime ufficiali, vengono descritti in circa 20.000 unità.
Gli anni 2000, 2001 e 2002 e 2003 non sono esenti: purtroppo si registra una costante crescita dei drammatici eventi ascrivibili alle mutazioni climatiche: cicloni, uragani, siccità e vastissimi incendi, nevicate intense e temperature polari distribuiscono distruzione e morte in tutto il pianeta, fino ad arrivare ai circa 35.000 morti in Europa per il caldo estivo nell’estate del 2003. La Francia e l’ Italia pagano un altissimo tributo di vite umane, prevalentemente anziani. 
Il mutamento climatico, quale conseguenza dei gas serra prodotti dall’inquinamento dell’”homo sapiens tecnologicus”, oltre ad accrescere il numero delle alluvioni e dei cicloni, e produrre siccità e forti calure, attacca anche le calotte polari ed i ghiacciai, riducendoli inesorabilmente. La copertura di neve nell’emisfero settentrionale si è ridotta di oltre il 10% nel corso dell’ultimo triennio. 
A causa dei cambiamenti climatici, la temperatura del globo è aumentata di circa 1 grado rispetto ad un secolo fa. E sempre nell’ultimo secolo i dodici anni più caldi si rilevano tutti dopo il 1983 ed i 4 più caldi in assoluto negli ultimi 10 anni. Dal 1980 la temperatura media in Alaska e Siberia è salita di ben 4 gradi. Le calotte glaciali si formano più tardi e si frammentano anzitempo, riducendosi inesorabilmente. Durante l’ultimo quarantennio si è verificato un decremento del 40% dello spessore del ghiaccio marino perenne dell’ Artico. Le temperature in aumento stanno sciogliendo anche i ghiacciai montani e continentali. Tra il 1961 e il 1997 i ghiacciai montani si sono ridotti di 400 chilometri cubi. Il caldo prodotto dall’ effetto serra è responsabile di 8000 joule per quanto riguarda la fusione del ghiaccio antartico e groenlandese e di 1100 joule per lo scioglimento dei ghiacciai montani.
I ghiacciai si stanno esaurendo nelle Alpi, in Alaska e nello stato di Washington, mentre il Kilimangiaro, la montagna più alta dell’ Africa, ha perduto oltre il 75% della sua calotta glaciale. Solo due dei sei ghiacciai venezuelani sono ancora visibili mentre si prevede che i ghiacciai del Glacier National Park del Montana saranno irrimediabilmente sciolti entro il 2070. Il ghiacciaio del Gangotri che alimenta il fiume Gange, arretra di 5 metri all’anno. Solo lo scioglimento dei ghiacciai al di fuori della regione polare farà alzare il livello dei mari anche di 5 centimetri.

L’ Intergovernmental Panel on Climate Change prevede un aumento medio della temperatura globale tra i 1,5 e 6 gradi entro il 2100. La catastrofe globale appare inevitabile.
L’ Aosis chiede che entro il 2005 i livelli di emissioni di biossido di carbonio vengano ridotti del 20% rispetto al 1990. Germania e Gran Bretagna propongono una riduzione del 10% entro il 2005 e del 15% entro il 2020. Gli scienziati olandesi la indicano tra il 60 ed il 70%. "

Ancora da autorevoli fonti:

“Alla fine del 2003, uno degli anni più caldi a memoria d’uomo, l’Istituto oceanografico Woods Hole ha pubblicato una ricerca in cui segnalava che la salinità dei mari polari stava diminuendo, mentre era in aumento quella delle acque tropicali e si stavano registrando cambiamenti radicali delle correnti oceaniche che regolano la stabilità del clima mondiale, mentre effetti metereologici particolarmente insoliti e violenti si manifestavano un po’ dappertutto. 
Questi scienziati considerano il cambiamento in atto della circolazione della Corrente del Golfo nel Nord Atlantico il più grande e preoccupante mutamento oceanico mai misurato da quando si dispone di strumenti idonei per la rilevazione. La scomparsa della Corrente del Golfo si trasformerebbe nella maggiore catastrofe mai registrata nella storia: non risparmierebbe anima viva sull’intera superficie terrestre; tutti ne rimarrebbero coinvolti e non esisterebbero zone sicure. L’area interessata sarebbe amplissima ed i danni persisterebbero sino alla ricomparsa della Corrente. Potremmo rimanere in questa morsa climatica per migliaia di anni con una quasi totalità di riduzione per la Terra di ospitare la vita.
I repentini cambiamenti fanno parte del normale andamento climatico terrestre: se ne sono verificati moltissimi nel corso della storia e negli ultimi tre milioni di anni hanno seguito cicli regolari. L’emersione dell’istmo di terra centroamericana, 2,8 milioni di anni fa, modificò la struttura fondamentale delle correnti oceaniche e questo, unito a variazioni delle emissioni di energia solare e a leggeri cambiamenti nell’orbita terrestre, ha portato da allora ad avere un clima molto meno stabile.
Si sono conseguite numerose ere glaciali, ciascuna della durata di centomila anni circa, intervallate da periodi interglaciali di diecimila o quindicimila anni e tutta la storia umana si è sviluppata nell’ultimo terzo del periodo interglaciale più recente.
La prossima era glaciale avrà inizio quando le correnti oceaniche cesseranno di portare acqua calda nelle regioni polari e la neve non riuscirà a sciogliersi per varie estati consecutive. Questo provocherà l’aumento della riflessione superficiale del pianeta al punto da consentire la formazione di ghiacciai di vastissime estensioni. Prima di quel momento vi sarà un picco di calore, seguito da un violento cambiamento nelle condizioni metereologiche. Questo innalzamento della temperatura si era quasi verificato nell’estate del 2003, quando le temperature in Europa raggiunsero livelli senza precedenti e persino nell’Artico il termometro salì molto al di sopra della norma. Abbiamo sfiorato come conseguenza del forte innalzamento della temperatura dei mari la conseguente formazione di un evento ciclonico apocalittico che avrebbe innescato quel processo di cambiamento climatico con conseguenze inimmaginabili sulla sopravvivenza delle specie viventi nel nostro pianeta. Certamente non vi sarebbe alcun continente, né città, villaggio o persona che potrebbe restarne indenne e l’aspetto peggiore è che il cambiamento potrebbe verificarsi in ogni momento.
L’uomo non ha la possibilità di intervenire sui cicli che alternano le ere glaciali a quelle interglaciali, ma un’accurata pianificazione regolata da una Carta Costituzionale Mondiale a tutela della Democrazia Ecologica può minimizzare l’impatto dei mutamenti climatici sulla civiltà e possibilmente rinviare o attenuare la violenza degli sconvolgimenti. 
Purtroppo però i governi dei vari paesi non sono riusciti a trovare un accordo su una politica planetaria comune per far fronte ai cambiamenti climatici. Se i capi di governo si impegnassero a ratificare il Protocollo di Kyoto seguendo l’esempio del Canada, potremmo ottenere una riduzione delle emissioni di CO2, specialmente nei paesi industrializzati, dove è più facile controllare i livelli di inquinamento. 
La sfida riguarda tutti, industrie, governi ed i singoli utilizzatori di energia: se questa decisione venisse adottata anche solo da un 20% dei cittadini europei, degli Stati Uniti, del Canada, del Giappone ed ora anche della Cina, recentissimo megautilizzatore di energia, i livelli mondiali di emissione di CO2 scenderebbero al punto tale che il fattore umano avrebbe un impatto minimo sul riscaldamento globale ritardando notevolmente lo sconvolgimento finale.
Al contrario, invece, c’è una mancanza di impegno a livello dei capi di stato, a cominciare dagli Stati Uniti, che hanno adottato una posizione di indifferenza pericolosa ed aggressiva nei confronti dei cambiamenti climatici, proprio quando miliardi di vite umane sono minacciate. Coloro che deliberatamente ignorano il pericolo saranno non solo i responsabili della più grande catastrofe che potrà verificarsi da un momento all’altro, ma anche della fine della civiltà moderna, la migliore, la più libera e forse la più evoluta che l’umanità abbia mai conosciuto.”

26 dicembre 2004: un terremoto ed un maremoto apocalittico interessano il Sud Est Asiatico spazzando la vita nei territori colpiti. Le dimensioni dell’evento sono tali che l’isola di Sumatra risulta spostata di oltre 30 metri e si producono variazioni addirittura nell’asse terrestre. Che ci sia un collegamento tra l’evento e le variazioni climatiche in atto? E’ presto per dirlo ma non è presto per pensarlo!

Finalmente qualcosa si muove. Coscienza e conoscenza stanno timidamente crescendo.

L’anno 2005, con le sue catastrofi e le migliaia di morti, conferma l’incalzare drammatico delle variazioni climatiche che esponenzialmente stanno condizionando la nostra esistenza e quella del Pianeta. Il 2005 ha raggiunto il triste record per il numero di tempeste tropicali, tra cui Katrina che ha quasi cancellato New Orleans e di piogge, prevalentemente in tutta Europa. Il grido d’allarme dei climatologi diviene sempre più pressante e l’attenzione degli scienziati sempre più concentrata su questo tema.
Nasce una nuova disciplina: la geoingegneria ovvero l’ingegneria della Terra e del clima. Obiettivo di questa disciplina è quello di produrre soluzioni, alcune dal sapore fantascientifico, finalizzate a rallentare quanto più velocemente il surriscaldamento della Terra, per avere il tempo di sostituire le fonti inquinanti con tecnologie pulite, quali aperture che già s'intravedono oggi con alcune compagnie aeree brasiliane che hanno sostituito il kerosene con l’etanolo, ottenendo voli puliti. Oltre alle scarse volontà di convertire le tecnologie inquinanti, ci sono i tempi per attuare le conversioni che non sono certamente poca cosa. 
Per abbassare le temperature, si potrebbe costruire un immenso ombrellone spaziale formato di palloni riflettenti che volano nella stratosfera o una griglia metallica riflettente, come sostiene il fisico Lowell Wood, da collocare in una opportuna orbita, in modo da diminuire il calore dei raggi solari e la luce che riceviamo, ottenendo così lo stesso effetto che determinano le nubi quando il cielo è coperto.
Oppure costruire nubi: le nubi, infatti, aumentano l’albedo, vale a dire la quantità di luce che la Terra riflette nello spazio. Il progetto di Stephen Salter, geoingegnere presso l’Università d' Edimburgo, è quello di costruire piattaforme galleggianti che userebbero l’energia eolica per attivare turbine per polverizzare l’acqua marina che condensandosi con l’umidità favorirebbe la formazione di nubi che a loro volta rifletterebbero i raggi solari diminuendo le temperature medie del pianeta. Quali potrebbero essere, però, le conseguenze di questo progetto sulle alterazioni climatiche di molte aree della Terra? Alcuni simulatori sono già operativi per studiare tutti gli effetti correlati a tali progetti.
Altri progetti mirano a catturare il pericolo primo per il clima: il CO2 ovvero l’anidride carbonica. 
L’oceanografo John Martin osservò che il ferro stimolava la crescita d’alghe microscopiche che con il loro metabolismo assorbivano CO2 per cui il progetto di fertilizzare i mari con ferro potrebbe determinare un forte assorbimento dell’anidride carbonica da parte di queste alghe. Secondo le stime scientifiche risulta che un solo kg. di ferro porterebbe all’assorbimento di 100.000 kg. di CO2. Un massiccio intervento in questa direzione potrebbe, però, far prevalere alcuni organismi a danno di altri, sconvolgendo l’ecosistema.
Come si vede, l’equilibrio è tale perché si è formato in milioni d’anni e soluzioni drastiche devono essere studiate ed approfondite proprio per non turbare questi equilibri ed evitare il generare di altri effetti negativi.
Piantare alberi va benissimo per alcune zone, ma non a livello globale. Se poi consideriamo che un albero che va a fuoco immette nell’atmosfera la quantità d’anidride carbonica che ha assorbito durante tutta la sua vita, c’accorgiamo di quanto sia palliativa questa soluzione. 
Klaus Lackner, fisico al Centro d’Ingegneria della Terra della Columbia Univerity propone di prelevare direttamente la CO2 dall’aria con filtri percorsi da idrossidi di sodio o calcio che catturano il gas. Un filtro grande quanto un televisore potrebbe intrappolare, in un anno, circa 25 tonnellate di gas. Per intrappolare i 30 miliardi di tonnellate di CO2 prodotti dall’uomo nello stesso anno, quanti filtri si dovrebbero realizzare? E’ un’impresa ciclopica.
Roberto Bencini, geologo ed advisor dell’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia spiega che è più facile intrappolare la CO2 nel sottosuolo, come già avviene per alcuni impianti d’estrazione di gas naturale e per alcune centrali termoelettriche ove l’anidride carbonica in eccesso viene prelevata, compressa ed iniettata in una falda acquifera profonda. Un altro impianto in Canada, ogni giorno inietta 5.000 tonnellate di CO2 in un giacimento petrolifero a circa 1,6 km. di profondità con il duplice vantaggio d' agevolare l’estrazione del petrolio. Gli studi hanno dimostrato che in questi depositi l’anidride carbonica s' autosigilla, reagisce con i silicati e si trasforma in minerali cementando la porosità delle rocce. Si stima che il 99,999% della CO2 rimarrà intrappolata nel sito per almeno 5.000 anni.
La CO2 potrebbe anche essere immagazzinata in fondo agli oceani ove resterebbe ingabbiata dalla pressione. 
Progetti estremi, a prima vista fantascientifici, ma che testimoniano la grande corsa in atto per riparare i danni che la componente antropica ha e sta producendo sugli equilibri del pianeta, danni che già molti scienziati considerano irreversibili, preconizzando il peggio, finanche l’estinzione di gran parte delle forme viventi in tempi rapidissimi.
Prima che queste tecnologie s’affermino è necessario che il protocollo di Kyoto fissi nuovi e severi limiti alle emissioni di gas serra giacché i valori a suo tempo previsti non sono più sufficienti a contrastare gli effetti sul clima e soprattutto che ogni Nazione aderisca a questo protocollo, in particolar modo gli Usa e la Cina che sta attraversando una stagione d’enorme e rapidissimo sviluppo con conseguenze devastanti per l’inquinamento. 
Ormai il riscaldamento globale è sotto i nostri occhi e non c’è giorno che i massmedia non ne parlino e, finalmente, una gran parte del mondo scientifico prende in seria considerazione i fenomeni che con una progressione crescente, negli ultimi 30 anni, stanno caratterizzando il clima e gli effetti devastanti che esso produce. Era ora che prendesse forma quell’accelerazione culturale e quella coscienza che dovranno costituirsi a fondamento di un radicale cambiamento a cui l’uomo deve sottostare, pena la sua possibile estinzione. 

Anche il 2006 annovera una triste, lunga e monotona serie di disastri ambientali correlati agli sconvolgimenti climatici che sono passati attraverso i media quasi quotidianamente, finalmente facendo ulteriormente crescere il livello d’attenzione delle popolazioni tutte verso i cataclismi metereologici.
Adesso sono gli scienziati ad alzare la voce, addirittura tre dei più autorevoli gruppi di ricerca hanno anticipato al 2015 la data entro la quale, senza un radicale cambiamento delle politiche delle emissioni di gas, andremo incontro a cambiamenti radicali irreversibili e drammatici pur contrastati da una parte del pensiero scientifico meno catastrofico che pone al centro delle fenomenologia la ciclicità delle ere climatiche. Ma tutti riconoscono l’importanza di cambiare i comportamenti per interrompere un processo che riconosce all’intervento antropico una delle cause più determinanti dei cambiamenti in atto.
Anno 2006. 
B15A è il più grande iceberg che si sia mai staccato dalla banchisa antartica. E’ lungo 160 km. Ed è alla deriva. In Colorado un’ondata di gelo che non si ricorda a memoria d’uomo ha messo a rischio la sopravvivenza di molte specie. Anche le aree mediterranee, come nel sud Italia, sono state raggiunte da nevicate senza precedenti. Nello Yutan un fiume in piena cancella un intero paese. La Scozia è colpita da venti che soffiano ad oltre 200 km orari. La Cina è stata ripetutamente scossa da fenomeni di una violenza inaudita. E queste sono solo alcune citazioni di un lungo elenco di tutti i cataclismi che hanno caratterizzato l’anno 2006. 
I ghiacciai di tutto il globo si stanno sciogliendo a ritmi che i dati previsti negli scorsi anni sono stati superati ampiamente.
Di fronte a queste evidenze, ricercatori americani, britannici ed australiani, consultati dall’ONU avvertono che se la temperatura media terrestre continuerà a crescere anche di 1 solo grado, nell’arco di 10 anni il pianeta potrebbe raggiungere il punto di irreversibilità con conseguenze planetarie sull’ecosistema.
Il dato incontestabile su cui sono d’accordo la maggior parte degli studiosi del mondo è che la temperatura della Terra si sia alzata, negli ultimi decenni, in stretto rapporto con l’aumento dell’attività umana. Questo aumento della temperatura media non è uguale su tutte le aree del pianeta assumendo valori diversi tra cui una forte variazione nelle aree Artiche ove le temperature stanno determinando un processo di disgelo che ha già fatto crescere il livello degli oceani di oltre 10 cm. E’ una recentissima notizia (dicembre 2006), trasmessa dai mass media, di isole che sono già sparite dalle carte geografiche. Nel Pacifico il fenomeno del El Niño, il riscaldamento superficiale delle acque orientali ed equatoriali dell’oceano è divenuto più frequente, persistente ed intenso. Si prevede che il livello medio dei mari aumenterà di 50 cm. entro il 2050. 
Nelle aree temperate, come il Mediterraneo, l’alternarsi delle stagioni si sta trasformando dandoci inverni meno freddi e più umidi, come questo inverno 2006/2007, ed estati più afose con picchi torridi che si protraggono anche per più settimane producendo migrazioni verso nord di molte specie viventi ed alterazioni profonde degli ecosistemi. 
Gli ambientalisti richiamano tutti i governi del mondo a frenare le emissioni di gas serra rivolgendosi in particolar modo a Stati Uniti, India e Cina: queste ultime stanno registrando una forte accelerazione di sviluppo industriale immettendo nell’atmosfera una quantità di gas serra che solo nel 2006 ha azzerato la diminuzione di emissioni raggiunte dai Paesi aderenti al trattato di Kioto negli ultimi 15 anni. Per non parlare del buco nell’ozono che nel 2006 ha raggiunto la massima estensione mai registrata. Ormai è impensabile sfuggire ad una regolamentazione planetaria.

Anche nel 2007 l’elenco dei disastri e delle catastrofi ambientali si allunga quasi fosse ormai una normalità. Ci conviviamo passivi e silenziosi ognuno nella speranza di rimanerne fuori. Se dovessimo fare il bollettino delle sciagure che anche questo anno hanno colpito la nostra Terra rischieremmo d'essere ripetitivi con l’unica eccezione di descrivere nuove drammatiche scenografie.
Cresce, però, la coscienza e la conoscenza delle problematiche e dei rischi connessi alle instabilità climatiche nell’opinione pubblica e nei poteri forti a tutti i livelli, anche se per questi ultimi, ci viene da pensare, che le motivazioni siano da ricercare nella Shock Economy ovvero nel capitalismo dei disastri.
Nel novembre 2007 riportiamo l’ultimatum da un rapporto ONU 
“O cambiamo subito o ci sarà un disastro ambientale per l’effetto serra!”
Per Ban Ki-moon, segretario dell’ONU, unitamente ai più autorevoli scienziati del settore, dopo aver effettuato un’attenta esplorazione della foresta pluviale e dell’Antartide ha dichiarato che le conseguenze in atto per il surriscaldamento climatico sono già “un film dell’orrore”.
In Spagna, a Valencia, dov’è riunita l’organizzazione ONU, o meglio il Comitato Intergovernativo per i cambiamenti climatici (Ipcc) che in questo anno ha vinto il premio Nobel per la pace congiuntamente all'ex vice presidente americano Al Gore per il suo impegno e per la sua azione di sensibilizzazione sui rischi dei mutamenti climatici, avverte e scrive che non c’è più tempo. 
L'Ipcc è il comitato scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, la World Metereological Organization (Wmo) e L'united Nations Environment Programme (Unep) allo scopo di studiare il riscaldamento globale. I rapporti periodici diffusi dall'Ipcc sono alla base di accordi mondiali quali la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) e il protocollo di Kyoto che le attua. 
Le cifre sono quelle note anche nel 4° rapporto: il livello dei mari è cresciuto negli ultimi 100 anni di 1 metro e mezzo e continua a crescere.
Le ulteriori conseguenze a cui andremo incontro per il progressivo scioglimento dei ghiacciai riguarderanno le grandi città, prevalentemente asiatiche, che saranno irrimediabilmente sommerse con conseguenze forse inimmaginabili, mentre in Africa, entro il 2020, oltre 250 milioni di persone rimarranno senz’acqua. 
Un terzo delle specie di piante ed animali sarà a rischio di sparizione in tutto il mondo.
Ovunque nella terra s'intensificheranno eventi estremi e catastrofi che modificheranno la vita sul globo.
Questo rapporto arriva a pochi giorni dalla conferenza di Bali che rivedrà il Protocollo di Kyoto, ormai superato dal precipitare degli eventi.
Per gli scienziati ONU non c’è più spazio per discussioni e dubbi. Si deve agire immediatamente e drasticamente. Entro il 2015 ( e mancano soltanto 8 anni) bisogna bloccare la crescita delle emissioni nocive, poi, ridurle rapidamente pena conseguenze che già oggi possono innescarsi improvvise ed irreversibili.
In questa preconizzata drammatica visione, si registra, fortunatamente, una progressiva coscienza della necessità di produrre cambiamenti. Anche la Cina e L’India che sono in una fase di crescita irrefrenabile appaiono più sensibili al controllo degli effetti inquinanti mentre negli USA, Al Gore, con la sua opera di sensibilizzazione, ha lacerato l’indifferenza del mondo economico e produttivo che ha immediatamente risposto fattivamente anche se il business intravisto con le aperture di nuovi mercati per prodotti che rispettano l’ambiente e la conseguente rottamazione degli inquinanti, rappresenta la strategia più opportuna per produrre il cambiamento che, tra le righe, potrebbe anche arricchire maggiormente chi è già ricco e potente. Anche se la ricchezza non ricadrà a pioggia sulla nostra terra, almeno sia salva la speranza che le generazioni future potranno sopravvivere godendo dei frutti e delle bellezze della terra, come è avvenuto per i nostri predecessori per migliaia e migliaia di anni.

Bali, ottimismo con moderazione.

La conferenza di Bali che ha riunito i rappresentanti di tutto il mondo, convocata per rivedere ed aggiornare i limiti delle emissioni di gas serra alle nuove drammatiche realtà, ha prodotto un topolino dopo aver rischiato più volte d’abortire. 
Dopo 13 giorni di trattative serrate, la "roadmap" di Bali è stata approvata per consenso dai delegati dei 190 Paesi presenti. Gli Stati Uniti, finalmente, pur confermando la loro contrarietà alla fissazione di vincoli obbligatori sulle emissioni di gas serra, hanno ratificato l’intesa, ormai unanime, a realizzare un nuovo accordo.
L'intesa prevede un percorso per negoziare il nuovo accordo sui mutamenti climatici che sostituisca in maniera più ambiziosa il Protocollo di Kyoto. Il 'Kyoto 2', che sarà negoziato nei prossimi due anni, sarà firmato a Copenaghen nel 2009. Il nuovo trattato avrà effetto a partire dalla fine del 2012.
Il patto che uscirà dai nuovi negoziati dovrebbe essere vincolante per tutti i Paesi a partire dal 2013.
Una doverosa citazione per l’Australia, meglio tardi che mai, che in questa conferenza di Bali ha ratificato il Protocollo di Kyoto.
Una ulteriore doverosa citazione: l'Italia, le cui emissioni la pongono molto al di sopra dei limiti previsti dal Protocollo,  risulta in ultima fila nella lotta ai cambiamenti climatici.

2008, anno del "20-20-20"

Via libera dal collegio dei commissari della Commissione europea al piano dell'Unione per contrastare i cambiamenti climatici. Si tratta di un pacchetto di proposte legislative sulle quali il consiglio Ue aveva gia trovato l'intesa nel marzo dello scorso anno, fissando gli obiettivi sintetizzati con la sigla "20-20-20". Ovvero il raggiungimento del 20 per cento della produzione energetica da fonti rinnovabili, il miglioramento del 20 per cento dell'efficienza e un taglio del 20 per cento nelle emissioni di anidride carbonica. Traguardi da raggiungere tutti entro la data del 2020. Per quanto riguarda l'Italia, dovrà tagliare il 13% di emissioni di C02 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni (Ets) e dovrà aumentare del 17% i consumi energetici da fonti rinnovabili entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005. Ora i commissari hanno definito meglio quegli obiettivi, articolandoli in cinque differenti normative alle quali verrà aggiunto un documento sugli aiuti di Stato. Oltre che al vaglio del Parlamento europeo, il documento dovrà passare l'esame degli Stati membri. Bruxelles spera di approvare le misure entro il 2008, ma il Commissario Barroso ha già detto di aspettarsi "negoziati difficili". Un'anticipazione della durezza dello scontro che si consumerà in sede europea è stato possibile osservarlo recentemente in occasione della discussione della normativa per la riduzione delle emissioni di CO2 da imporre alle case automobilistiche nella produzione di nuove vetture. Il pacchetto per la lotta ai cambiamenti climatici dell'Unione, oltre agli obiettivi del 20-20-20 prevede anche un aumento della quota di utilizzo di biocarburanti, 10 x cento, nel settore dei trasporti.

Ancora nel 2008  si analizzano i rapporti scaturiti dai tre 'working group' del Giec, (Il Giec riunisce i migliori ricercatori mondiali ed è un gruppo intergovernativo di esperti sull'evoluzione del clima, nato nel 1988 su iniziativa dell'Organizzazione meteorologica mondiale e del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente ed è stato in particolare all'origine del Protocollo di Kyoto );  l'assise degli esperti mondiali sui cambiamenti climatici sancisce che la catastrofe climatica è ormai alle porte e minaccia da vicino la nostra sopravvivenza. Il nuovo rapporto del Giec afferma che l'effetto serra esiste e che si sta accelerando. Negli ultimi 10 anni, sia le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera sia le temperature sono aumentate molto più rapidamente che nel passato. Secondo i dati che circolavano prima dell’ultima riunione (novembre 2007), per il 2100 gli esperti preconizzavano un raddoppio delle concentrazioni di CO2 (a 550 parti per milione) rispetto all'era preindustriale e nello stesso lasso di tempo, le temperature potrebbero crescere da 2 a 4.5 gradi. Un balzo enorme se si considera che rispetto all'ultima era glaciale, verificatasi 10.000 anni fa, l'attuale temperatura media è salita di 5 gradi. Purtroppo a questi aumenti nelle emissioni fa riscontro una diminuita capacità di assorbimento di CO2 da parte di vegetazione ed oceani. Mentre 50 anni fa per ogni tonnellata di CO2 emessa questi “serbatoi”  ne assorbivano 600 Kg, oggi solo 550 Kg vengono rimossi dall’atmosfera, con una tendenza in atto ad una ulteriore diminuzione. Gli specialisti dei 113 paesi riuniti a Parigi stimano al 90% la probabilità di una responsabilità umana nel surriscaldamento climatico. La Terra farà fronte ad un riscaldamento catastrofico nel corso di questo e del prossimo secolo. Le simulazioni informatiche del GIEC hanno predetto un riscaldamento planetario di 1° F ogni 10 anni e di 5-6° C (10-11° F) entro il 2100, cosa che causerebbe una catastrofe planetaria avente effetti sulla vita umana, l’habitat naturale, l'energia, le risorse idriche e la produzione di prodotti alimentari. Tutto ciò si fonda sull'ipotesi che il riscaldamento planetario è causato dall'aumento di CO2 nell'atmosfera e che questo aumento accelererà. Il maggiore aumento delle emissioni si è verificato nei Paesi in via di sviluppo, specialmente Cina e India, mentre nei Paesi industrializzati, aderenti al protocollo di Kyoto le emissioni sono aumentate lentamente. La Cina ha superato gli Usa ed è diventata il Paese maggiore emettitore di  CO2 al mondo, mentre l’India supererà presto la Russia.

Catastrofiche le previsioni per il futuro: milioni di persone in Africa soffriranno per la penuria d’acqua entro il 2020; circa un terzo delle specie vegetali ed animali rischierà l’estinzione ed i cambiamenti climatici avranno effetti negativi anche sulla salute di milioni di persone. La conclusione più sorprendente della relazione riguarda il fatto che sono le regioni più povere del mondo che soffriranno maggiormente per gli effetti del riscaldamento del globo. Secondo il rapporto approvato da circa 400 delegati presso il GIEC, rappresentanti di più di 120 nazioni e poi consegnato alle istanze decisionali della politica, i cambiamenti di stile di vita e di comportamento possono contribuire alla riduzione delle emissioni (gas a effetto serra) in tutti i settori. I costi di riduzione sono accessibili e la necessità di agire rapidamente è, secondo il parere degli esperti, non rinviabile. Gli europei auspicano che gli Stati Uniti ed i paesi emergenti (Cina, India, ecc.), che non partecipano al Protocollo di Kyoto, s’impegnino anche loro a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nel quadro di questo nuovo accordo, cosa che attualmente rifiutano. Bacchettate agli Usa sul Protocollo di Kyoto e un futuro non incoraggiante per fiumi e mari d’Italia e sud Europa. Nonostante l’imminente cambio alla presidenza nella Casa Bianca, gli Stati Uniti non sembravano propensi ad aderire al protocollo di Kyoto. Questo è quanto hanno riportato i due advisors dei due candidati alla Presidenza, Mc Cain e Obama, a Corrado Clini, direttore generale del ministero dell’Ambiente italiano in una conferenza dal tema “Agire in tempo sulla politica energetica” svoltasi presso l’Università di Harvard.

Obama, però, dopo la sua elezione, con un messaggio videoregistrato al “Governors’ Global Climate Summit”  convocato dal Governatore Repubblicano Arnold Schwarzenegger a Beverly Hills, California, ha annunciato che gli USA vogliono assumere un ruolo di leadership interna ed internazionale sul problema che, insieme alla dipendenza dal petrolio estero, indebolisce l’economia e mette a rischio la sicurezza. Si comincerà con l’istituzione di un sistema di tetto e commercio delle emissioni di gas serra (il sistema del Protocollo di Kyoto) e obiettivi annuali di riduzione che porteranno gli USA agli stessi livelli del 1990 entro il 2020 e ad un’ulteriore riduzione dell’80% entro il 2050. Verranno investiti 15 miliardi di dollari ogni anno a favore delle energie rinnovabili. E’ chiaro che per Obama la politica sui cambiamenti climatici rappresenta la vera occasione. Staremo a vedere!

Nel frattempo, l’Oceano Artico sta perdendo la calotta glaciale con un anticipo di 30 anni circa rispetto alle previsioni IPCC. Ora si prevede che nel periodo estivo i ghiacci potrebbero sparire del tutto tra il 2013 e il 2040,  un fatto che non si è mai verificato da più di un milione di anni ad oggi. Gli ecosistemi marini nel Mare del Nord e nel Mar Baltico oggi sono esposti alle temperature più miti, mai registrate da quando sono iniziate le misurazioni, con conseguente imprevedibili sull’intero ecosistema, mentre il Mediterraneo subirà periodi di siccità a lungo termine sempre più frequenti.

Compiere il tragitto che da Capo Nord giunge allo stretto di Bering, in occasione del 90° anniversario del Passaggio a Nord-Est, impresa realizzata per primo dall’esploratore norvegese Roald Amundsen. è l'obiettivo che si è posta la spedizione “OLTRE, Beyond The Edge 2008”, che è partita da Milano il  30 novembre 2008, in cui Petter Johannesen, pronipote di Roald Amundsen e capo della spedizione, ripercorrerà le tappe dell'impresa del passaggio a Nord-Est per la prima volta con mezzi meccanici (fuoristrada), da Capo Nord allo stretto di Bering, sfidando le condizioni climatiche estreme dell’inverno siberiano. Il viaggio vero e proprio si concluderà presso lo stretto di Bering a marzo 2009. Alla spedizione partecipano in totale 45 persone fra cui ricercatori, medici, giornalisti, fotografi, operatori video, autisti, meccanici, che si alterneranno ogni 30 giorni circa nelle 12 tappe previste.  La spedizione nasce con spirito d'avventura, ma si pone anche obiettivi legati allo sviluppo delle conoscenze, della ricerca scientifica, dell'acquisizione di dati ambientali, attraverso il confronto tra la realtà dei primi del secolo scorso (quella raccontata dai diari di Amundsen), con quella attuale. La raccolta e la comparazione dei dati scientifici sarà di grande importanza per l’IPCC. 

 

Anche i ghiacciai nelle Alpi svizzere continuano a diminuire, con conseguenti drastiche riduzioni nella produzione di energia idroelettrica. A livello globale, si prevede che l’aumento del livello del mare sarà pari al doppio della previsione massima dell’IPCC, che stimava un aumento di 0,59 metri entro la fine del secolo, con gravi rischi per ampie zone costiere. L’aumento delle temperature ha già comportato una riduzione nei raccolti di grano, mais e orzo in tutto il mondo. Stando agli studi più recenti, nelle isole britanniche e nel Mare del Nord i cicloni estremi aumenteranno in numero ed intensità, portando ad incrementare la velocità del vento e i danni legati alle tempeste sull’Europa occidentale e centrale. Il livello di ozono troposferico, che agisce come inquinante, potrà essere simile a quello registrato durante l’ondata di caldo del 2003, con aumenti maggiori in Inghilterra, Belgio, Germania e Francia. E anche la quantità massima di piogge annue aumenterà nella maggior parte d’Europa, con conseguenti rischi d’inondazioni e danni economici.

E’ ormai chiaro che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto maggiore di quanto la maggior parte degli scienziati avesse anticipato. Per questo è vitale che la risposta internazionale per il taglio delle emissioni e l’adattamento sia più rapida e più ambiziosa. L’ultimo rapporto IPCC ha mostrato che i motivi di preoccupazione ora sono più forti e questo dovrebbe indurre l’Europa a impegnarsi perché l’aumento della temperatura globale sia ben al di sotto dei 2°C rispetto all’era pre-industriale. Ma anche mantenendo il limite di 2°C, secondo l’IPCC è necessario comunque che i paesi sviluppati riducano le emissioni dal 25 al 40% entro il 2020 rispetto ai valori del 1990, mentre una riduzione del 20% risulterebbe insufficiente. Se l’Unione Europea vorrà essere considerata un leader nel decisivo summit dell’ONU a Copenhagen nel 2009, e se vuole contribuire alla nascita di un forte accordo globale per affrontare il cambiamento climatico dopo il 2012, deve smettere di sottrarsi alle proprie responsabilità e impegnarsi per una reale riduzione delle emissioni.

L’intesa sul pacchetto clima ed energia, pur con richieste di tolleranze ed adattamenti per le condizioni economiche in caduta libera nel mondo, è stato approvato unanimemente dalla Ue .  L'intesa raggiunta il 12.12.2008 dal vertice Ue è un accordo "storico" per Nicolas Sarkozy e motivo di grande ottimismo per Al Gore, entrambi paladini della necessità che l'Europa si facesse carico di trainare il mondo verso una lotta ai cambiamenti climatici più impegnativa ed efficace.

09.07.2009 a L'Aquila - G14    ".....o noi governiamo gli eventi o gli eventi governeranno noi...."!
Questa è l'apertura degli USA al mondo intero che Il Presidente Obama ha pronunciato nel Summit quando si è affrontato il tema degli sconvolgimenti climatici.

I Paesi emergenti hanno dimostrato di voler contribuire alla soluzioni dei problemi, India e Cina prendono tempo pur con timide aperture.
Accordo storico? Previsto entro il 2050 l'abbattimento dell' 80% degli inquinanti.
Entro il 2015 raddoppio degli investimenti per le energie pulite.

Appuntamento a Copenhagen per la svolta?

Per  quanto riguarda l'appuntamento di Copenhagen del 7-18 dicembre 2009, Simone  Jacca ci dice: 

Ambiente, ultima chiamata: Copenaghen, 7-18 dicembre
La Conferenza mondiale sul clima in Danimarca:
gli errori di ieri e di oggi per non sbagliare domani

Qualche mese fa la rivista Intelligent Life, supplemento di The Economist, ha posto un interessante quesito che ha scatenato un curioso dibattito tra scienziati, professori, politici e giornalisti di tutto il mondo. Si trattava di stabilire l’anno più importante della storia: un modo per riflettere su cosa siamo, chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove andremo. Gli esperti consultati dalla rivista naturalmente non hanno raggiunto un accordo. E così sono volate date di tutti i tipi: il 44 a.C., per la morte di Giulio Cesare, il 1492, per la scoperta dell’America, il 1945, per la fine della Seconda guerra mondiale e del nazismo, il 1989, per la fine del comunismo, o l’anno zero, per la nascita di Gesù.
Anni importanti, fondamentali per la storia degli eventi e dell’umanità. Ma alla fine si sono espressi gli autori stessi del sondaggio e hanno concluso provocatoriamente (ma neanche tanto) che l’anno più importante della storia sarà il 2009: «Se a dicembre al summit di Copenaghen sul cambiamento climatico le potenze della Terra non si metteranno d’accordo, avremo sprecato l’ultima chance di salvare il pianeta e, dunque, noi stessi».

Cosa abbiamo fatto
«In un istante storico questo insignificante mammifero umano ha sottomesso le altre specie e sconvolto la natura». Giorgio Ruffolo, nel suo saggio Il capitalismo ha i secoli contati (Einaudi, collana Gli Struzzi, 2008, pp. 295, € 16,00), è quasi romantico nel raccontare questo secolo-Titanic, tanto per citare il celebre disco di Francesco De Gregori, che nel “lontano” 1982 aveva lucidamente paragonato gli scorsi cento anni a una nave folle, forte, suicida.
Una nave guidata da un capitano, l’uomo del Ventesimo secolo, che lì, seduto sul cassero, a fumare la pipa, si gustava le prodezze della sua creatura. E nel frattempo, come ci racconta Ruffolo, consumava in poco tempo e una volta per tutte masse sterminate di combustibili fossili accumulati per miliardi di anni nel grembo della terra, foreste primigenie e oceani di plancton depositati nella forma di carbone e di petrolio. Seppelliva sotto tempeste di sabbia milioni di ettari di terre vergini distruggendone la fertilità e desertificando interi continenti. Asserviva pesci, uccelli e animali terrestri andando ben al di là della prescrizione biblica. Contaminava le falde acquifere introducendo inusitati veleni. Liberava masse enormi di metano dalle deiezioni di gigantesche concentrazioni di allevamenti. Distruggeva buona parte del miliardo e mezzo di ettari di foreste tropicali. Diffondeva nel terreno, nell’acqua e nell’aria dieci milioni di composti chimici inquinanti. Provocava la strage delle altre specie vegetali e animali, determinando una contrazione drammatica della biodiversità, passando, in pochi decenni da un ritmo di estinzione di una specie ogni quattro anni a circa mille estinzioni all’anno.
Tutto in questo secolo, in quest’istante storico, «in questa notte elettrica e veloce, / in questa croce di Novecento, / il futuro è una palla di cannone accesa / e noi lo stiamo quasi raggiungendo» (Francesco De Gregori, I muscoli del capitano, da Titanic, 1982).

A cosa andiamo incontro
Ma, nonostante tutto, c’è qualcosa di peggio, qualcosa di più grave, di più urgente, qualcosa per cui vale la pena riunire tutti i capi di governo del mondo e prendere delle decisioni impellenti e coraggiose: i cambiamenti climatici.
E sì, perché il precedente elenco di immani e, forse, irreversibili disastri è davvero poco in confronto al progressivo innalzamento della temperatura che viviamo e a cui andiamo incontro: si parla di un innalzamento medio globale di 5,5-7,1 gradi centigradi entro il 2100. Sei gradi, dunque: sembra quasi una sciocchezza di fronte alle escursioni di 10-15 gradi a cui siamo abituati nei mesi di aprile o di settembre-ottobre. Ma, in realtà, sei gradi sono tanti, troppi, e hanno conseguenze che vanno oltre le nostre sensazioni corporee.
Per esempio: un quinto delle specie animali a rischio estinzione, 1-2 miliardi di persone senz’acqua, lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya e dell’intera Groenlandia, e, alla fine del secolo, l’Amazzonia, che ospita metà della biodiversità del pianeta, tramutata in un’arida savana.
E se questo non dovesse bastare, National Geographic Channel ha presentato una mappa dei diversi scenari possibili nei prossimi cento anni per ogni grado di aumento della temperatura globale.
• + 1 grado: niente più grano sul mercato mondiale;
• + 2 gradi: distruzione delle barriere coralline;
• + 3 gradi: continui cicli di siccità e tempeste di sabbia fino all’Europa centrale;
• + 4 gradi: scomparsa di Venezia, New York e di tutte le grandi città costiere; il Nord del Canada diventerebbe la zona più fertile del pianeta;
• + 5 gradi: al posto delle fasce temperate dei due emisferi si creerebbero due enormi zone inabitabili;
• + 6 gradi: il pianeta ritornerebbe alle condizioni ambientali del periodo del Cretaceo.

A chi ci affidiamo?
Dunque Copenaghen, 17 anni dopo Rio e 12 anni dopo Kyoto. Tra il 7 e il 9 dicembre 2009 l’ennesima, secondo molti l’ultima, possibilità di cambiare qualcosa.
Il tavolo danese è diviso in due: da una parte abbiamo il green Obama, che intanto non ha ancora ratificato il rientro degli Stati Uniti nel protocollo di Kyoto, dopo il clamoroso ritiro nel 2001 con l’avvento di Bush. Insieme a lui una serie di governatori apparentemente predisposti a prendere posizioni intransigenti: l’inglese Brown, il neoeletto premier democratico del Giappone Yukio Hatoyama e pochi altri.
Dalla parte opposta il nutrito gruppo di paesi in via di sviluppo (Cina, India, Brasile, Indonesia) che rivendicano la possibilità di adeguarsi al mondo occidentale e di raggiungere quel benessere che noi abbiamo prepotentemente raggiunto negli anni Sessanta. A questi vanno uniti i vari Berlusconi, Putin e Sarkozy che, usando un eufemismo, sono poco sensibili alle tematiche ambientali.
Si tratterà solo di scegliere. Tra il denaro e la vita, tra il presente e il futuro, tra la guerra e la pace, tra la collaborazione e la sopraffazione, tra un nuovo patto, un altro Kyoto, con degli impegni seri, vincolanti, responsabili e un nuovo rinvio, lasciando alla sensibilità e alla buona volontà dei singoli paesi l’arduo compito di proteggerci da un infausto futuro. E di sensibilità e volontà, come abbiamo visto, in giro ce n’è poca! Soprattutto dalle nostre parti…

Quale speranza
Le attese, dunque, si trasformano in un’unica, tenue speranza. Debole, ma viva. La speranza che la storia ci abbia insegnato a non guardare ciecamente e ossessivamente solo al presente, ma a volgere sempre uno sguardo al futuro, consapevoli che ogni traguardo raggiunto, ogni vetta conquistata, perde immediatamente di significato e di importanza se non possiamo garantirla anche a chi viene dopo di noi.
Una speranza che, tuttavia, deve essere preceduta e accompagnata da una presa di consapevolezza, da parte di tutti, che il nostro stile di vita non è evidentemente accettabile e sostenibile e che qualche rinuncia è indispensabile.
Ma questo sarà possibile solo quando ci renderemo conto che il Titanic non è inaffondabile e che il mare che abbiamo davanti è impervio e insidioso, e che di fronte alla montagna di ghiaccio bisognerà agire più responsabilmente e umilmente di quel fanatico capitano che cantava De Gregori: «Giovanotto, io non vedo niente. / C’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole. / Andiamo avanti tranquillamente»."

    L’immagine: ghiacciaio Perito Moreno in Argentina. Foto gentilmente concessa da Massimo Musetti (maxim970@tiscali.it) e inserita in Cile e Bolivia. Diario di viaggio gennaio 2003 (copyright 2003

 

09 dicembre 2009                        "Per favore salvate il mondo"

Inizia così la conferenza sul clima. La cerimonia di apertura si apre con un video: alcuni bambini che rappresentano il domani, hanno mostrato uno scenario che ci proietta nell'Apocalisse. Una provocazione certamente, ma anche una preconizzazione, se da questo vertice non si concretizzeranno  provvedimenti adeguati dai Capi di Stato presenti.

 

Si tratta di un evento di portata storica. Sono presenti oltre 300 giornalisti. Proprio da alcuni testate mondiali, tra cui Repubblica, il Times, The Guardian, Le Monde, El Pais e Toronto Star è partito un appello espresso in un editoriale comune: "Se non ci uniamo per intraprendere delle azioni decisive, il cambiamento climatico devasterà il nostro pianeta e con esso la nostra prosperità e la nostra sicurezza", spiegano i 56 giornali, che dicono di aver deciso questo passo senza precedenti, quello di parlare con una sola voce, per chiedere ai leader mondiali di "fare la scelta giusta" a Copenhagen. "I rappresentanti politici che si riuniranno a Copenhagen hanno la possibilità di decidere quale sarà il giudizio della storia su questa generazione: una che ha capito la minaccia e che ne è stata all'altezza con le sue azioni oppure una talmente stupida da aver visto arrivare la catastrofe e di non avere fatto alcunché per impedirla. Vi imploriamo di fare la scelta giusta."

       La situazione oggi: clicca sull'immagine

Lo stallo è l’unica realtà che emerge da Copenhagen.

Il Senato degli USA ha imbavagliato il Presidente Obama non essendosi pronunciato circa l’accordo prima del summit. Il ruolo degli USA rimmarrà indefinito, come quello della Cina e dell’India che dichiarano di essere disponibili a percorrere la strada della produzione di energia pulita ma chiedono forti fianziamenti  a  sostegno dello sviluppo sostenibile.  La disponibilità dell’Europa ai finanziamenti è stata considerata come “noccioline” rispetto ai 500 miliardi di € all’anno prevedibili, ma impensabili per le economie dei Paesi più avanzati, pena il proprio collasso economico.

Gli scienziati che nel frattempo hanno approfondito le ricerche sui fenomeni in atto, sono sempre più convinti dell’impatto antropico sugli sconvolgimenti climatici: il loro grido di allarme contrasta, però, con le irrinunciabili esigenze delle macroeconomie, in particolar modo in questo momento storico già sconvolto dalla crisi economica dei Paesi occidentalizzati che ancora serpeggia.

I Paesi poveri subiranno i danni maggiori!  Le grandi Corporations  si sono sempre rifiutate di uniformarsi agli accordi di Kyoto per continuare a sfruttare le risorse a danno di tutti: impensabile che possano farlo oggi.

Le emissioni globali sono aumentate del 40% dal 97 ad oggi, pur con gli enormi sforzi fatti dall’Europa per limitare gli inquinanti, ma insignificanti rispetto agli aumenti delle emissioni cinesi, indiane  e americane che raggiungono quasi il 50% delle emissioni  globali e non prevedono correttivi per un immediato sviluppo ecosostenibile che rallenterebbe la loro crescita. 

Le macroeconomie imprigionano la Terra ed imbavagliano i Capi di Stato disponibili ai Summit ma sordi a ratificare i trattati.

Mossa a sorpresa: il Segretario di Stato Americano Hillary Clinton, ha affermato che gli USA metteranno  a disposizione, entro il 2020, la loro partecipazione ai 100 miliardi di dollari per i Paesi sottosviluppati  e che sono "pronti a fare i passi necessari per raggiungere un accordo completo ed operativo sul clima e non ci devono essere dubbi sulla volontà degli Usa di arrivare ad un successo a Copenaghen”. 
Il presidente statunitense Barack Obama è arrivato a Copenaghen per partecipare, assieme a numerosi altri capi di Stato e di governo, al Vertice sul clima. Lo ha riferito un fotografo della France Presse presente sul posto.                                 
                             
Da un comunicato ANSA del 18.12.2009 0re 10,36            

“Le discussioni svolte durante la notte a Copenaghen tra una trentina di capi di Stato e di Governo, su iniziativa della  Ue, sono state "fruttuose e costruttive" ma sono "ancora lontane da un risultato".  E' quanto dichiarato dal primo ministro Danese Lars Loekke Rasmussen presidente della Conferenza sul clima. Stamattina i leader di questo gruppo hanno già ripreso i loro lavori, mentre a Copenaghen è arrivato il presidente Usa Barak Obama. Tante ore di lavoro notturno per cercare con tenacia un accordo sulle misure da prendere per frenare il riscaldamento del pianeta.  Negoziati ad oltranza qui a Copenaghen dove il vertice dell'Onu sul clima è arrivato veramente in dirittura d'arrivo con l'arrivo dei leader.

In attesa dell'entrata in scena di Barack Obama, prevista per questa mattina, i capi di Stato e di Governo si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a negoziare sul serio, anche attraverso una girandola di colloqui bilaterali che arriveranno al culmine oggi con gli incontri che il presidente americano avrà - qui a Copenaghen - con il premier cinese Wen Jiabao, con il presidente russo Dmitri Medvedev e brasiliano Ignacio Lula da Silva.  Convocato anche un extra-vertice notturno in una corsa contro il tempo, anche se molti pensano che sarà necessario prolungare il vertice di un altro giorno. In tarda notte l'annuncio del premier danese, Lars Rasmussen, che la riunione sta dando i suoi frutti e che è pronta una nuova bozza di accordo che sarà presentata questa mattina alle otto ai leader. Ci sarebbero l'impegno a ridurre le emissioni di gas inquinanti per mantenere l'aumento delle temperature sotto i due gradi e l'obiettivo di finanziare a lungo termine i Paesi in via di sviluppo con 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020.  Lo riferiscono, secondo l'agenzia Reuters, fonti che hanno preso parte ai colloqui e che hanno chiesto di mantenere l'anonimato."E' stata una riunione utile e fruttuosa", ha osservato Rasmussen confermando che gli sherpa lavoreranno tutta la notte per fare "ulteriori progressi". La svolta che ha ridato fiato al negoziato è comunque ancora una volta "made in Usa" anche se gli europei hanno spinto al massimo per un risultato alto.  Obama si è fatto precedere a sorpresa dal segretario di Stato Hillary Clinton che ieri mattina ha sparso a piene mani fiducia accompagnando le dichiarazioni di buona volontà con una apertura forte: gli Stati Uniti accettano di partecipare al fondo di aiuti per i Paesi in via di sviluppo per 100 miliardi di dollari entro il 2020. Resta in piedi l'incognita Cina che ieri ha mostrato un eccesso di tattica: prima ha gettato nel panico i negoziatori delle Nazioni Unite facendo sapere che un accordo era "impossibile"; quindi, attraverso una dichiarazione del premier cinese Wen Jiabao, ha chiesto un "accordo equilibrato, giusto e ragionevole". Intanto, forse non a caso, è trapelato uno studio shock delle Nazioni Unite che dice a chiare lettere che se si firmasse un accordo alle condizioni attuali il Pianeta rimarrebbe a rischio catastrofe. Secondo questo un documento confidenziale, le offerte di riduzione delle emissioni di Co2 sul tavolo dei negoziati, porterebbero ad un aumento medio delle temperature mondiali di tre gradi rispetto all'obiettivo dei 2 gradi. Tradotto: 170 milioni di persone in più soffrirebbero per le inondazioni e 550 milioni in più rischierebbero la fame.”


La lettura tra le righe ci dice che ognuno è portatore delle sue strategie ed un ipotetico accordo dovrà scaturire salvaguardando le facce di tutti. 

MINI ACCORDO SUL CLIMA

Un accordo senza cifre sulle riduzioni della Co2, con il riconoscimento dei dati scientifici che stabiliscono a 2 gradi il massimo di aumento della temperatura, e con una certezza solo sui fondi, 30 miliardi di dollari nel triennio 2010-2012 e 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020. A vincere è la Cina che aveva rifiutato il target di emissioni globali al 2050 del 50% per tutti i paesi. L'Ue accetta, anche se in modo timido, e il presidente francese, Nicolas Sarkozy esprime "delusione" per il mancato riferimento al taglio delle emissioni globali e annuncia una nuova Conferenza a Bonn entro 6 mesi. Ma proprio nella notte sul documento si accendono gli animi.

Nella sessione Plenaria della Conferenza, quando tutto sembrava scontato, parte il fuoco di fila dei paesi latini che contestano la procedura che ha portato al testo. A capitanare la rivolta é ancora una volta il simbolo della Conferenza, il piccolo Arcipelago del Pacifico, Tuvalu, che rischia di affondare sotto la spinta dei cambiamenti climatici. Il primo ministro Apisai Ielemia mette in chiaro che il futuro del suo piccolo stato "non è in vendita" e cita i 30 denari di Giuda. Sulla stessa linea d'onda intervengono a raffica Venezuela, Cuba, Costa Rica, Bolivia.

Scrive Stefano Polli

“Lo hanno chiamato accordo ma sembra qualcosa di molto simile a un fallimento.  La magia di Barack Obama non funziona a Copenaghen e dopo undici giorni di estenuanti e irritanti negoziati la montagna del vertice sul clima con migliaia di politici, esperti e tecnici partorisce il topolino di un' intesa minima.

Un accordo, se così lo vogliamo chiamare, al ribasso, raccolto sul filo di lana di una trattativa condotta senza convinzione e senza coraggio e portata avanti dai grandi della terra - Europa esclusa - guardando semplicemente agli interessi nazionali e ignorando il baratro che si intravede chiaramente nel futuro di un mondo fragile e esposto alle conseguenze dell'inquinamento e dell' effetto serra.

I veti contrapposti, le visioni egoistiche dei grandi del mondo - Usa e Cina in testa - hanno costretto la conferenza di Copenaghen a piegarsi ad un accordo senza respiro e senza visione che non può dare prospettive per la soluzione dei problemi climatici e che costringerà la comunità internazionale a nuovi appuntamenti a breve termine, già nei prossimi mesi.

Mancano i numeri in questo accordo e le parole da sole non possono bastare. Così come non possono bastare da soli gli obiettivi di limitare il riscaldamento a 2 gradi e il fondo da 30 miliardi di dollari come risorse immediate (2010-2012) e da 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020.

Dove sono gli impegni nazionali di riduzione del CO2? E dove é finito il riferimento per la riduzione globale del 50% al 2050?

Le cifre dovranno essere definite entro il primo febbraio 2010 e la comunità internazionale dovrà, secondo quanto ha riferito il presidente francese Sarkozy, rivedersi a Bonn fra sei mesi per un nuovo incontro. E' un accordo che non è vincolante, come ha spiegato Obama, che ha riconosciuto che si tratta di un' intesa "non sufficiente". Non solo. E' un' intesa che spacca i grandi: da un lato gli Usa che hanno raggiunto nelle ore frenetiche di consultazioni un accordo con India, Cina e Sudafrica e dall'altro l'Europa che , mentre Obama era già in volo per tornare negli Usa, era riunita per trovare un modo efficace per esprimere la sua frustrazione.

Usa e Cina - i più grandi inquinatori del mondo - sono rimasti fermi sulle loro posizioni, insufficienti per risolvere i grandi problemi dell'inquinamento globale. L' Europa ha malinconicamente confermato che non riesce a incidere sulla scena internazionale di fronte al crescente potere del nuovo direttorio mondiale, il G2 Washington-Pechino.

Tornano inevitabilmente alla mente l'impegno, la forza e la determinazione con cui i grandi del mondo hanno risposto, soltanto pochi mesi fa, alla recente crisi finanziaria, i soldi spesi e la tempestività dei loro sforzi. Nulla di tutto questo si è visto in questi giorni a Copenaghen. E in questo semplice paragone c'é l'immagine più chiara del fallimento di Copenaghen.”

G77: Il gruppo che raccoglie i paesi più poveri e in via di sviluppo protesta. L'accordo raggiunto "é il peggiore della storia" dei vertici dell'Onu.

"Questo presunto accordo è un fiasco totale, è anche un passo indietro rispetto al protocollo di Kyoto". E' durissima la reazione del direttore generale di Greenpeace, il francese Pascal Husting, alla prima lettura del testo finale dell'accordo di Copenaghen. "Se un capo di stato proverà a dire che questo accordo è un successo - ha aggiunto Husting - vincerà la Palma d'Oro per la comunicazione più menzognera dell'anno". 

Nella bozza circolata spariscono gli impegni vincolanti e collettivi, al loro posto un elenco delle disponibilità di ogni singolo stato. "Non c'é un solo punto - ha continuato il responsabile di Greenpeace - in cui si parla di obbligatorietà degli accordi. Il protocollo di Kyoto era insufficiente, ma almeno era vincolante. 

Questo testo è la prova che gli egoismi nazionali prevalgono ed è anche la versione più debole tra quelle circolate oggi". "I dati scientifici sono certi e non possono cambiare - ha concluso Husting - Ma se dopo tanti anni si arriva a questo significa che la politica ha fallito. Allora ci sono solo due possibilità: o si cambia la politica o si cambiano i politici".

2010 - Disastro ambientale

          Grazie British Petroleum! 

L'unica concreta risposta che Vi meritate è che i mercati mondiali rifiutino i vostri prodotti e....per sempre.

L’andamento climatico continua a evidenziare intense anomalie nel mondo. Diminuiscono i giorni di gelo con temperatura minima minore o uguale a 0 °C, mentre aumentano le notti tropicali e i giorni estivi. Cresce anche la temperatura superficiale degli oceani: l’Atlantico settentrionale ha mantenuto un’intensità compresa tra +1 e +2 °C, la stessa del 2008, mentre nel Pacifico tropicale, l’anomalia è stata lievemente positiva a partire dal mese di giugno. In termini di siccità il picco si è avuto in Messico e in Africa Centro-orientale dove la siccità ha causato una forte carestia per 23 milioni di persone. Anomalie di pari intensità hanno riguardato anche il Medio Oriente, l’Europa Orientale, le estremità settentrionali dell’Asia, dell’America e dell’Australia Sud-orientale. Alle intense anomalie termiche che hanno interessato le regioni australi, ha corrisposto una ridotta estensione della calotta artica (terzo valore più basso dopo il 2007 e il 2006).
In Russia, ad esempio, l’apice è stato registrato nel mese di febbraio con temperature medie mensili da 3 a 6 °C inferiori alla media 1961-1990. Nevicate intense (le più copiose degli ultimi 55 anni) hanno interessato il Nord-Est della Cina, mentre il record di copertura nevosa è stato raggiunto nel Nord America.
Per quanto riguarda le piogge, precipitazioni di particolare intensità hanno investito, nel corso del mese di giugno, l’Europa Centrale e la Cina, dove hanno distrutto numerose abitazioni e ridotto sensibilmente i raccolti. 

Il riscaldamento climatico fa sciogliere “il monte dell’Arca”: negli ultimi 30 anni i ghiacciai del monte Ararat, nella Turchia orientale, si sarebbero ridotti di circa un terzo della loro superficie. L’allarme è stato lanciato dal geologo Mehmet Akif Sarikaya, che ha anticipato la pubblicazione dei risultati di uno studio sui ghiacci della montagna sulla quale, secondo la leggenda, si sarebbe arenata l’arca di Noè dopo la fine del Diluvio universale.

L’ondata di caldo eccezionale che ha soffocato la Russia, la siccità e gli incendi che hanno ucciso decine di persone a distrutto migliaia di ettari di campi di grano sono tutti segnali del fatto che il cambiamento climatico causa condizioni meteorologiche estreme in tutto il mondo. Lo ha detto Alexander Bedritsky, consigliere meteorologico del Cremlino, che ha citato altri disastri che possono essere legati al riscaldamento globale come le tremende alluvioni in Pakistan, le più gravi in epoca storica, e l’ondata di caldo in Francia nel 2003, che uccise 15.000 persone. Presi insieme “questi sono segnali del riscaldamento globale” ha detto Bedritsky, che è anche presidente dell’Organizzazione meteorologica mondiale, in una conferenza stampa. Mosca è tradizionalmente molto cauta sul cambiamento climatico, in un paese la cui economia dipende in larga misura dall’export di petrolio e gas. L’ondata di caldo in Russia, la più forte in 130 anni di registrazioni delle temperature, ha alimentato migliaia di incendi, soprattutto nell’ovest del paese, seppellendo Mosca sotto una cappa di fumo acre per una settimana, un fenomeno che ha raddoppiato la mortalità in città. La siccità è gli incendi sono costati alla Russia anche un terzo dei raccolti di grano e il governo ha deciso di bloccare l’export di grano fino a fine anno, causando un’impennata dei prezzi sui mercati internazionali.

La Crimea potrebbe separarsi dall’Ucraina. Non tanto politicamente, quanto fisicamente. Le possibilità che in un prossimo futuro la penisola sul Mar Nero non sia più agganciata alla terraferma sono alte. Almeno secondo quanto ha detto Nicolai Kulbida, capo del Centro idrometrico d’Ucraina. A causa del riscaldamento globale e dell’innalzamento del livello dei mari la Crimea diventerebbe quindi un’isola. Un innalzamento di circa 50 cm del livello del Mar Nero provocherebbe la divisione della penisola dal continente.

Appare quindi sempre meno chiaro che fine faccia il protocollo di Kyoto a due anni dalla sua scadenza. Le visioni rimangono fortemente contrapposte tra chi (Cina e la maggior parte dei paesi in via di sviluppo) intende mantenerlo con gli emendamenti elaborati dal gruppo di lavoro AGW-KP e con la definizione dei nuovi impegni, e chi (la maggior parte dei paesi industrializzati compresa la UE), invece, vorrebbe contestualizzarlo nel più ampio trattato messo a punto dal gruppo AGW-LCA, in termini di percorso ed obiettivi di breve periodo nel contesto più ampio del percorso e degli obiettivi di lungo periodo.
Per quanto riguarda gli obiettivi di breve e di lungo periodo, va evidenziato che la maggior parte dei paesi industrializzati (compresa la UE) e dei paesi in via di sviluppo emergenti (compresa Cina), hanno più volte ripetuto le loro posizioni, tra cui la stessa dichiarazione di altre sessioni precedenti: la disponibilità ad assumere impegni più ambiziosi, o molto ambiziosi, purchè gli altri facciano la stessa cosa. Una dichiarazione questa che, in pratica, significa che nessuno farà nulla se gli altri non avranno fatto prima qualcosa, e che porta inevitabilmente a prolungare una situazione di stallo, in attesa che qualcuno prima o poi faccia la prima mossa.

L’ultimo appuntamento prima della conferenza di Cancun si è risolto in avanzamenti minimi, se non, per alcuni aspetti, in qualche passo indietro. A Tianjin, in Cina, la sessione è stata a dir poco interlocutoria, se non inconcludente.

La settimana dedicata alla Conferenza Onu sul clima di Cancun, dove si sono riuniti i ministri di ben 194 Paesi del mondo, che si sono seduti attorno ad un tavolo per trovare una soluzione ai problemi sempre più incombenti che minacciano il clima mondiale. Il nodo centrale critico resta – ancora una volta – il post protocollo di Kyoto, che se da un lato, per alcuni parametri, è già insufficiente, dall’altro trova ancora numerose difficoltà ad essere rispettato. È necessario quindi che i Paesi partecipanti trovino un accordo bilanciato e unanime.
Tutti i governi partecipanti, con la sola eccezione della Bolivia, hanno aderito ad un'intesa che li impegna a stipulare, in occasione della Conferenza del dicembre 2011 (COP 17), un accordo per la riduzione entro il 2020 delle emissioni globali di gas ad effetto serra tra il 25% ed il 40%. 
L'obiettivo è limitare l'aumento delle temperature a non piu' di due gradi. Le percentuali di riduzione sono riferite ai dati misurati per il 1990 e presi come punto di partenza dal Protocollo di Kyoto.
Diciamo subito che questa intesa vale meno delle promesse elettorali di un politico. Nessuno dei problemi chiave che finora hanno impedito la stipulazione di un efficace accordo sul clima è stato risolto. Non c'è accordo su come la responsabilità della riduzione globale delle emissioni sarà ripartita tra i diversi Paesi. Non c'è accordo sull'effettiva entità della riduzione, poiché tra il 25% ed il 40% corrono 15 punti percentuali che costituiscono un'enormità in termini di effetti sulle temperature. Non c'è accordo sul carattere vincolante dei futuri ed eventuali impegni di riduzione nazionale che per il momento sono lasciati alla mutevolezza della buona volontà degli Stati, e davvero non si capisce come, tra un anno, questi governi potranno far quadrare i conti delle singole percentuali.
Si consideri la totale inadeguatezza del riferimento ai dati del 1990 per la determinazione delle percentuali di riduzione: dati vecchi di 20 anni, superati dalle rivoluzioni economiche che hanno fatto esplodere le emissioni di Paesi come la Cina e l'India.
Si consideri anche l'inadeguatezza delle percentuali di riduzione (dal 25% al 40%) rispetto all'obiettivo di contenere a due gradi l'aumento delle temperature, raggiungibile solo con percentuali di riduzione doppie rispetto a quelle ventilate nell'intesa raggiunta ieri.
L'intesa prevede anche investimenti per la tutela delle foreste e per il trasferimento di tecnologie a basso impatto ambientale ai cosiddetti Paesi emergenti, investimenti che per il primo anno di applicazione del futuro accordo sono quantificati in 10 miliardi di euro e che poi dovrebbero progressivamente crescere fino a raggiungere i 100 miliardi nel 2020. Ma l'intesa non precisa quali Paesi dovranno assumersi i costi degli investimenti e quali ne trarranno beneficio.

L'intesa di Cancun è dunque un accordo senza obblighi per nessuno, e come tutti gli accordi che non prevedono impegni vincolanti, ha il valore di una semplice promessa che al vertice dell'anno prossimo molto difficilmente vedremo trasformarsi in un accordo reale ed efficace.
Cancun si era aperto senza particolari aspettative e si è chiuso con un capolavoro di ipocrisia.

I governi di tutto il mondo hanno concordato un pacchetto di decisioni che saranno la base per il sostegno di ulteriori negoziati nel corso del prossimo anno con l’obiettivo di raggiungere un risultato finale in occasione della prossima Conferenza sul clima (COP17) di Durban, nel novembre - dicembre 2011.

2011 - Allarme dell'Onu sul clima
"I disastri aumenteranno"
Il nuovo rapporto della task force: Alluvioni e tempeste sempre più violente. Eventi estremi destinati a crescere. Gli esperti dell'Ipcc: caldo e piogge tropicali in Europa diventeranno la norma. 
Così scrive Antonio Cianciullo: “Roma, Cinque Terre, Genova, Napoli. Eccola qui, concentrata in pochi giorni, l'anticipazione del clima che verrà. La rabbia del vento che spazza via tutto, i muri d'acqua che si trasformano in bombe idriche, le tempeste di lampi che riempiono il cielo: fenomeni che chiamiamo estremi perché fino a ieri rappresentavano il limite dell'orizzonte conosciuto, oggi si ripetono con frequenza devastante. Domani potrebbero diventare routine. L'allarme viene dal quinto rapporto sul cambiamento climatico che l'Ipcc, il panel di oltre 2 mila scienziati messo in piedi dalle Nazioni Unite, sta mettendo a punto. A Kampala, in Uganda, dal 14 al 19 novembre si sono riuniti gli esperti di eventi estremi e dalla loro analisi (Special report on managing the risk of estreme events and disasters): emerge un quadro drammatico del caos climatico prodotto dall'uso di carbone e petrolio e dalla deforestazione: è "praticamente certo", dicono gli esperti, che aumenteranno le ondate di gelo e di calore estremo, le inondazioni, i cicloni tropicali ed extratropicali. E a pagare lo scotto maggiore saranno i tropici e l'artico, ma anche le aree temperate più vicine alla fascia in forte riscaldamento.
Anche i numeri dei climatologi sottolineano come il 2010 ed il 2011 siano stati anni che hanno accelerato il trend di crescita dei disastri climatici: le temperature globali hanno segnato un nuovo record, ondate di incendi hanno messo in ginocchio la Russia, alluvioni record hanno ucciso 2 mila persone in Pakistan e sconvolto l'India, una tempesta di polvere ha soffocato Pechino e ha colpito 250 milioni di persone, Bangkok è finita sott'acqua, la siccità e la carestia devastano il Corno d'Africa, l'uragano Irene ha seguito una rotta impazzita arrivando a far tremare New York, Genova ha conosciuto uno degli alluvioni più violenti della sua storia, le cinque Terre sono state travolte dal fango, Messina e la sua provincia registrano disastrose alluvioni.
Secondo l'Ipcc l'aumento dell'energia in gioco in atmosfera prodotto dalla crescita delle emissioni serra aggraverà tutti questi problemi. In assenza di un alt ai combustibili fossili e alla deforestazione, le ondate di calore che nel 2003 hanno fatto 70 mila morti aggiuntivi in Europa diventeranno più frequenti; entro il 2050 i massimi di temperatura saranno di almeno 3 gradi superiori ai massimi di temperatura del secolo scorso ed entro il 2010 di 5 gradi superiori; le aree aride e semiaride in Africa si espanderanno almeno del 5-8 per cento; si perderà fino all'80 per cento della foresta pluviale amazzonica; la taiga cinese, la tundra siberiana e la tundra canadese saranno seriamente colpite; il Polo Nord diventerà presto navigabile d'estate; la popolazione mondiale sottoposta a un crescente stress idrico passerà dal miliardo attuale a 3 miliardi.

"Lo scenario devastante indicato dall'Ipcc può ancora essere evitato se si puntano con decisione sulle energie rinnovabili e sull'efficienza energetica", precisa Vincenzo Ferrara, il climatologo dell'Enea. "È un passaggio complesso ma si può avviare subito a costo zero: basterebbe chiudere il rubinetto degli incentivi che, a livello globale, finanziano con circa 400 miliardi di dollari l'anno i combustibili fossili che minano la stabilità climatica e usare questi fondi per rilanciare le energie pulite".

"Non abbiamo scelta: il fatto che in pianura padana le piogge siano complessivamente diminuite mentre le alluvioni aumentano mostra in modo inequivocabile che il clima italiano si è tropicalizzato", aggiunge Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. "Non possiamo limitarci a contare le vittime del caos climatico senza reagire".
Precipitazioni più intense, feroci tempeste e siccità intensificandosi, potranno colpire il mondo nei prossimi decenni. Dicono gli esperti che aumenteranno le ondate di gelo e di calore estremo, le inondazioni, i cicloni tropicali ed extratropicali. A pagare lo scotto maggiore saranno i tropici e l'artico, ma anche le aree temperate più vicine alla fascia in forte riscaldamento
Secondo l' Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il corpo di scienziati del clima a livello mondiale convocata dalle Nazioni Unite, dal livello dei mari aumenterà la vulnerabilità delle aree costiere, e l'aumento di "eventi meteorologici estremi" spazzerà economie nazionali e distruggerà la vita di milioni di persone. Gli scienziati hanno avvertito di questi effetti per anni; il rapporto del 18.11.2011 a Kampala - la "relazione speciale sulla meteorologiche estreme" compilato da più di due anni da 220 scienziati - è il primo esame completo delle conoscenze scientifiche in materia, nel tentativo di produrre un giudizio definitivo. Il rapporto contiene gli avvisi per i paesi in forte sviluppo in particolare, che rischiano di essere maggiormente colpiti dai fattori geografici, anche perché sono meno preparati per condizioni meteorologiche estreme ed hanno meno capacità di recupero economico rispetto alle nazioni sviluppate. Ma il mondo sviluppato non rimarrà indenne – fenomeni di piogge più intense, ondate di caldo e siccità sono tutti suscettibili di lasciare il loro segno sempre più disastroso. 
Chris Field, co-presidente del gruppo di lavoro dell'IPCC che ha prodotto il rapporto, ha detto che “il messaggio è chiaro - gli eventi meteorologici estremi sono sempre più probabili. Ci sono prove chiare e solide di questo. Sappiamo anche molto di più circa le cause delle perdite da disastri". 
Egli ha esortato i governi a prendere nota che “molti degli impatti economici e umani dei disastri possono essere evitati se l'azione richiesta è presa tempestivamente: stiamo perdendo troppe vite e troppe attività economiche in disastri". 
Il rapporto è stato cronometrato poco prima dei colloqui cruciali che si sono svolti alla fine del mese di novembre 2011 a Durban, Sud Africa, dove i governi del mondo avrebbero potuto produrre un nuovo accordo globale per combattere le emissioni di gas ad effetto serra e ai cambiamenti climatici. La buona notizia è che c'è un generale consenso circa la necessità di un accordo giuridicamente vincolante, ma la cattiva notizia è che nessun accordo giuridicamente vincolante è stato fatto a Durban.
Capo clima d'Europa, Connie Hedegaard, ha detto che la relazione dovrebbe spronare i governi ad agire e che il mondo ha solo cinque anni per prendere le misure necessarie di taglio alle emissioni per evitare un catastrofico riscaldamento globale . Ha detto:. " è frustrante vedere che alcuni governi non mostrano la volontà politica ad agire, alla luce dei fatti è ancora più convincente che la questione deve essere messa all’attenzione di quei governi che sono a favore di rimandare le decisioni: per quanto tempo si può difendere questa inazione''? 
Bob Ward, direttore delle comunicazioni presso il Grantham Research Institute della London School of Economics, ha detto che il rapporto scientifico è ormai chiaro: " esperti dei più recenti dati scientifici disponibili mostrano chiaramente che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto in molte parti del mondo con particolare riferimento alla frequenza e localizzazione degli eventi meteorologici estremi, come ondate di caldo, siccità e inondazioni. Queste tendenze sono state identificate nel corso degli ultimi decenni, quando l'aumento della temperatura media globale è stata solo di pochi decimi di grado centigrado. 
Il rapporto mostra che se non fermiamo l'attuale aumento vertiginoso dei livelli di gas serra, il riscaldamento globale esaspererà i drammatici cambiamenti climatici estremi che potrebbero sopraffare qualsiasi tentativo che le popolazioni umane potrebbero fare per adattarsi ai loro impatti. 

La relazione di sintesi ha anche prodotto avvertimenti, che rifletteno la difficoltà di legare specifici eventi meteorologici estremi di origine antropica attribuendo perdite economiche, come i danni da tempeste e alluvioni, anche ad altri fattori coinvolti come l'urbanizzazione e la ricchezza crescenti come moltiplicatori delle perdite che oggi sono maggiori rispetto al passato. 
Questo punto rischia di diventare particolarmente controverso in futuro, poiché i governi dei paesi industrializzati sono chiamati a fornire finanziamenti per il mondo povero per aiutare le persone ad adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici. 
Gli scienziati hanno dichiarato di essere sicuri che un riscaldamento del clima si traduce in un aumento della frequenza degli uragani e dei cicloni tropicali, esprimendo un duro avvertimento per l'emisfero nord, e le aree di Europa e Nord America, dove normalmente non si verificano uragani. C'è stato uno "spostamento verso il polo" nel modello delle tempeste, il che significa che violente tempeste hanno maggiori probabilità di colpire zone come New York e la costa atlantica dell'Europa. 
Modelli scientifici mostrano anche che è molto probabile, un termine che indica, in gergo IPCC, dal 90% al 100% di probabilità, che la lunghezza, la frequenza e l'intensità di caldo o ondate di calore aumenteranno nel maggior parte delle aree della terra. Ciò significa che i giorni caldi di registrazione, che in precedenza ci si poteva aspettare una volta in 20 anni, sono ora probabilmente ogni due anni. Questo potrebbe avere un grave impatto sugli anziani e i giovanissimi, in particolare, che sono più vulnerabili alle variazioni di temperatura. 
Il rapporto ha detto: "E 'probabile che la frequenza di precipitazioni intense o la percentuale di precipitazioni totali aumenterà nel 21 ° secolo in molte aree del globo. Ciò è particolarmente vero nelle alte latitudini e nelle regioni tropicali, e, in inverno, nel nord medie latitudini; pesanti piogge associate a cicloni tropicali rischiano di aumentare con il riscaldamento continuato. Questo significa che nubifragi che ci si poteva aspettare una volta in 20 anni diventeranno una normalità in cinque anni di ricorrenza. Gli scienziati sono esitanti a tradurre tutto ciò in concrete avvertenze circa la frequenza di inondazioni e di alluvioni, perché queste possono aggravarsi per fattori locali come la topografia, ma ha chiaramente confermato che le inondazioni, frane e smottamenti sono associate a forti piogge intervallate da periodi asciutti che, nel 21 ° secolo, in alcune stagioni ed aree, a causa della riduzione delle precipitazioni e / o una maggiore evapotraspirazione tenderanno ad intensificarsi. Hanno individuato le aree più vulnerabili del sud Europa e del Mediterraneo, Europa Centrale, America del Nord, America Centrale e Messico, a nord-est del Brasile, e Africa meridionale. 
Necessita un'azione rapida da parte dei governi riuniti a Durban, Sud Africa, per proseguire i negoziati su un accordo globale per affrontare i cambiamenti climatici. Tim Gore, consigliere di Oxfam cambiamento climatico, ha detto:. "Questo è un campanello d'allarme per i leader mondiali ad agire subito sui cambiamenti climatici per salvare vite e denaro. Il legame tra cambiamenti climatici e un aumento della frequenza e l'intensità di alcuni eventi meteorologici estremi è sempre più chiaro, e sono le persone più povere e vulnerabili del mondo che ne sono colpite. Inondazioni e siccità, come quelle che di recente hanno colpito l'Asia orientale e il Corno d'Africa possono distruggere interi raccolti, contribuendo all'impennata dei prezzi alimentari portando i poveri alla fame. " Ha aggiunto: "Le stime suggeriscono che ogni dollaro investito in adeguamento al cambiamento climatico potrebbe far risparmiare 60 dollari in danni. I governi devono trovare il denaro necessario per investire ora, ed evitare i costi di gran lunga superiori di clean-up e vite perse in seguito.." 

Cancun, c'è l'accordo sui gas serra. Il disastro di Copenhagen è alle spalle
Al vertice vince la realpolitik: spiragli per un'intesa nel 2011 dopo il naufragio di un anno fa. Ma non c'è nulla di vincolante.
Scrive Roberto Giovannini, inviato a Cancun.
“E' il classico caso di interpretazione del bicchiere. Il bicchiere dell'accordo di Cancun è mezzo pieno? E' mezzo vuoto? Se lo osserviamo dal punto di vista della scienza, della fisica, della chimica dell'atmosfera e degli oceani, non ci sono molti dubbi: nelle carte concordate da 193 paesi del mondo – e considerate una legittimazione dell'ecocidio da parte del solo, irriducibile, negoziatore della Bolivia Pablo Solon – non c'è praticamente nulla che concretamente e in modo vincolante dia una mano al pianeta Terra. I termini del problema, da quel punto di vista, sono chiarissimi. Già oggi la concentrazione di CO2 nell'atmosfera tocca le 390 parti per milione (440 equivalenti considerando anche gli altri gas serra); dovremmo fermarci a 350 ppm per stare tranquilli. Ovvero evitare di superare 1,5 gradi di aumento della temperatura globale, considerata la soglia da rispettare per evitare disastri. Per riuscirci dovremmo toccare il picco massimo delle emissioni nel 2015, e poi scendere velocemente. Ce la facciamo solo se succede un miracolo, e secondo tanti scienziati ormai sono andati persi persino i 2 gradi.
Oppure possiamo essere più realisti. E vedere la parte piena del nostro bicchiere. Nessuno, neanche i più sfrenati ottimisti, sperava che a Cancun si potesse avere un accordo globale legalmente vincolante. Cina, Stati Uniti, India, Russia, Giappone, Unione Europea partivano da posizioni ed esigenze di partenza che – molto semplicemente – erano assolutamente inconciliabili.
Il miracolo di Cancun – un miracolo messicano, perché tutto il merito spetta alla presidenza messicana di Patricia Espinosa Cantellano – è aver messo alle spalle Copenhagen, e aver aperto uno spiraglio per un'intesa globale per il 2011 a Durban, ripristinando il percorso multilaterale sotto l'egida ONU. Un colpo diplomatico da maestro, che ha aggirato i veti incrociati con pragmatismo e abilità, e ha stabilito alcuni caposaldi (di principio e di sostanza, come il REDD) fondamentali. A Copenhagen, ormai è chiaro a tutti, è stata perduta la vera occasione storica. Cancun ha rimesso il processo in carreggiata, ed è una cosa buona. Ma il pianeta non è salvo. La fisica e la chimica non tengono conto della diplomazia.”

Durban: accordo globale salva-clima, adozione entro il 2015. 
Clini: «Superati i limiti di Kyoto»
Alla 17ma conferenza Onu sul clima di Durban è stato raggiunto in extremis un accordo sulla tabella di marcia per arrivare a un trattato globale sulla lotta ai cambiamenti climatici entro il 2015, che entrerà in vigore nel 2020. Dopo una maratona di 13 giorni di negoziati, nelle prime ore di domenica è arrivata l'intesa che per la prima volta impone a tutti i grandi inquinatori di intraprendere iniziative per ridurre i gas serra. Il presidente della Conferenza, Maite Nkoana-Mashabane: «Abbiamo fatto la storia»
Per l'accordo si inizierà a lavorare già nel 2012. Per l'accordo globale si inizierà a lavorare già a partire dal prossimo anno. Per questo è stato incaricato un gruppo di lavoro ad hoc in base alla «piattaforma di Durban». Il documento, che dà mandato al gruppo di lavoro di definire l'accordo globale entro il 2015, sottolinea l'urgenza di accelerare i tempi e di alzare il livello di riduzione. La forma giuridica dell'accordo sarà oggetto di ulteriori discussioni. Per quanto riguarda il Kyoto2 dopo il 2012, riguarderà sostanzialmente l'Europa e pochi altri paesi industrializzati, visto che Giappone, Russia e Canada da tempo hanno annunciato il loro no al secondo periodo del Protocollo. Il Kyoto2 ha la funzione di fare da ponte verso l'accordo globale. 
Via libera all'attività del Fondo Verde. Nel «pacchetto Durban» approvato dalla Conferenza, anche il via libera all'operatività del Fondo Verde per aiutare i paesi in via di sviluppo a sostenere le azioni contro il riscaldamento globale. Si tratta di 100 miliardi di dollari al 2020. 
La tabella di marcia con l'accordo mondiale e il 'pontè di Kyoto2 ha come principale obiettivo quello di portare dentro la lotta comune ai cambiamenti climatici le nuove economie come Cina, Brasile e India. La partita è importante anche nei confronti degli Stati Uniti che non hanno mai ratificato il primo periodo di Kyoto. 
La Ue, una svolta storica. «L'accordo sulla roadmap per il clima è una svolta storica». Lo scrivono Commissione e Consiglio Ue in una nota congiunta. «La strategia dell'Unione Europea ha funzionato», ha detto la Commissaria all'Ambiente, Connie Hedegaard, sottolineando che «molti credevano che Durban non avrebbe potuto fare altro che mettere in atto le decisioni di Copenaghen e Cancun, invece l'Europa voleva più ambizione e ha ottenuto di più». «Kyoto - ha aggiunto Hedegaard - divideva il mondo in due categorie, ora avremo un sistema che riflette la realtà di iun mondo reciprocamente interdipendente». «Con l'accordo sulla 'roadmap verso un quadro legale che dal 2015 coinvolgerà tutti i paesi nella lotta al cambiamento climatico - ha concluso Hedegaard - L'Unione europea ha raggiunto il suo obiettivo chiave nella Conferenza di Durban». Entusiastico anche il commento di Marcin Korolec, ministro per l'ambiente della Polonia, il Paese che detiene la presidenza di turno dell'Unione: «Questo è un momento paragonabile, se non anche superiore, a quello del successo del Cop1 nel 1995 quando, con il Mandato di Berlino, si arrivò all'unico accordo legalmente vincolante noto come Protocollo di Kyoto». 
Superati i limiti di Kyoto. «Siamo usciti dal "cono d'ombra" di Copenaghen. L'accordo supera i limiti del Protocollo di Kyoto e ha una dimensione globale» offrendo all'Europa, e soprattutto all'Italia, la possibilità di costituire la "piattaforma" per lo sviluppo con le grandi economie emergenti: Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica. Lo ha dichiarato "a caldo" il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, commentando i risultati raggiunti a Durban. 
Legambiente, un passo importante. «A Durban dopo lunghi e difficili negoziati si è riuscito ad evitare il fallimento e rinnovare il Protocollo di Kyoto come regime di transizione verso un nuovo accordo globale, che dovrà coinvolgere anche le maggiori economie del pianeta superando l'attuale contrapposizione tra paesi industrializzati e in via di sviluppo». Lo si legge in una nota delal Legambiente, che prosegue: «La Piattaforma di Durban prevede infatti la sottoscrizione di un nuovo accordo globale entro il 2015 e la sua applicazione a partire dal 2020. Esito questo non scontato visto l'ostruzionismo degli Stati Uniti, sostenuti da Canada Australia e Nuova Zelanda con Russia e Giappone a dar loro manforte. Ma grazie al ruolo determinante dell'Europa - finalmente con il sostegno convinto anche del nostro governo - è stato possibile dare vita ad una Coalizione di volenterosi tra paesi industrializzati emergenti e in via di sviluppo in grado di spingere India e Cina ad abbandonare il gioco dei veti contrapposti e costringere gli Stati Uniti ad approvare un mandato a sottoscrivere un accordo globale che abbia il Protocollo di Kyoto come architrave». (S. Nat.)

Il 2012 è stato l'anno peggiore di sempre.

Il riscaldamento globale in 26 secondi. Il video pubblicato dalla NASA mostra l'andamento della temperatura media globale nel periodo 1880-2011. Il colore blu corrisponde alle temperature inferiori alla temperatura media globale nel periodo 1951-1980.
Il colore rosso corrisponde alle alte temperature, valori superiori rispetto alla temperatura media globale. L'elaborazione della NASA termina col 2011, il nono anno più caldo a livello globale dal 1880. Quel che emerge dell'osservazione è preoccupante: nei primi 11 anni del 21° secolo la temperatura media globale ha subito un sostanziale incremento, ben più rispetto alla fine del 20° secolo.
Secondo gli studiosi, il 2012 potrebbe battere ogni record, visto che i primi otto mesi sono stati tra i più caldi di sempre.



Giungono buone notizie sul fronte del buco dell'Ozono, che ha appena registrato il secondo minimo storico negli ultimi 20 anni. Nel periodo compreso fra gennaio e agosto 2012 il buco dell'ozono ha raggiunto un'estensione massima d'appena 21.2 milioni di chilometri quadrati. In media nel corso dell'anno l'estensione e' stata di 17.9 milioni di chilometri quadrati. A confermare questa regressione dello strato d'ozono sull'Antartide, sono i satelliti della Nasa e dell'Agenzia americana per l'atmosfera e gli oceani. Il record massimo in assoluto risale al 24 settembre 2006 (29,6 milioni di km quadri).
Secondo i ricercatori il motivo del cambiamento è da ricercarsi nella temperatura più calda registrata negli strati più bassi dell'atmosfera sul continente antartico. Nonostante la messa al bando da anni dei CFC, si ritiene che il buco dell'ozono potrà ricucirsi non prima del 2065. Dal 1° gennaio 2015 anche gli Hcfc, i gas che hanno preso il posto dei CFC, principali imputati della distruzione dell'ozono, saranno messi fuori produzione.
Per quanto riguarda la sola temperatura della superficie terrestre, settembre scorso è stato il terzo più caldo di sempre dietro soltanto al settembre 2009 e al settembre 2005. A livello globale, la temperatura media dell'aria è stata superiore di 1,02°C rispetto alla media del ventesimo secolo.Tenendo soltanto conto della temperatura media dei mari e degli oceani, lo scarto positivo rispetto alla media del 20° secolo è stato pari a 0,54°C, dietro solamente al settembre 2003.

Il riscaldamento dell'Artico.
Il nuovo modello circolatorio porta aria più calda sopra l'Artico e "spinge" aria fredda verso sud. Come sottolineato dai ricercatori del NOAA, tutto ciò comporta non soltanto un'accelerazione del tasso di fusione della banchisa artica, ma aumenta anche le probabilità di condizioni meteorologiche avverse sulle medie latitudini. Stati Uniti e l'Europa occidentale risulterebbero le aree più colpite da manifestazioni atmosferiche estreme. Ora, concludono i ricercatori, il prossimo passo sarà cercare di capire cos'è che sta provocando questo cambiamento. Il team di ricercatori della NOAA, guidato da James Overland, ha studiato i parametri dei venti che soffiavano sopra l'Artico nel periodo 2007-2012, durante i mesi estivi. I ricercatori hanno poi confrontato le loro osservazioni con i dati rilevati tra il 1981 e il 2010. Si è scoperto che il Jet Stream, piuttosto che spostarsi da ovest a est come al solito, ha subito delle modifiche sostanziali che porta alla manifestazione di venti rafficosi con direzione da nord verso sud.
Pessime notizie sul fronte dei ghiacciai in Lombardia, secondo le informazioni pubblicate di recente su "Ghiacciai in Lombardia", il nuovo volume curato dal Servizio Glaciologico Lombardo. Riferendosi allo storico catasto che contiene oltre duecento ghiacciai della Regione Lombardia il volume pubblica schede di tutti ghiacciai con una originale descrizione cartografica e fotografica e soprattutto mettendo in rilievo i cambiamenti degli ultimi anni. L'immagine sottostante mostra in modo eloquente la ritirata clamorosa dei ghiacciai nell'ultimo ventennio.
Basti pensare che tra il 1991 e il 2007 i ghiacciai lombardi hanno perso il 24% della loro superficie, mentre dal 2007 ad oggi la perdita è incrementata di un ulteriore 20%. Secondo gli studi e i modelli predisposti dal Servizio glaciologico lombardo, i ghiacciai di Lombardia dovrebbero sparire, ipotizzando che la temperatura non subisca più alcun incremento, completamente entro il 2060. Tra i ghiacciai estinti quest'anno vi è quello del Pizzo Varuna (gruppo Bernina) che aveva ancora 80 ettari di ghiaccio nel 1990: purtroppo l'ultima estate 2012, così calda, è stata letale.
Scrive Ivan Gaddari: “Una nuova analisi effettuata sui dati economici nel periodo 1960-2008 mostra sì una contrazione delle emissioni di gas serra in fasi di recessione, ma il calo è stato meno della metà del tasso di crescita registrato durante il boom economico.
Richard York, professore di sociologia e studi ambientali presso l'Università dell'Oregon, ha analizzato le variazioni del prodotto interno lordo di oltre 150 paesi nel periodo in oggetto. Su questa base, per ciascun paese ha identificato i periodi di accelerazione e decelerazione economica, raffontando le due fasi con i dati relativi alle emissioni di carbonio.
L'asimmetria tra le due fasi non dipende soltanto dallo stato economico, ma è strettamente correlato all'intera storia del paese considerato. York, a tal proposito, fornisce un interessante esempio: la situazione dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Il collasso economico ha portato diversi paesi post-sovietici allo stesso livello economico di alcuni paesi dell'Africa sub-sahariana.
Ma la crisi economica non ha rimosso le emissioni di anidride carbonica in eccesso derivanti dal precedente sviluppo. Questi Paesi, nonostante una grave recessione, hanno continuato a disporre di infrastrutture e beni durevoli - strade, fabbriche, case, automobili e strutture ad alto consumo energetico - derivanti dal progresso economico passato. Nonostante un minor utilizzo da parte delle persone, la quantità di gas serra non è diminuita come ci si potrebbe aspettare.
Ecco perché le emissioni di gas serra non sono diminuite come previsto dall'inizio della crisi finanziaria globale, nel 2007. Tuttavia è giusto sottolineare che non tutti i dati economici e ambientali sono noti nel range temporale analizzato.”
La temperatura del mare della Laguna Veneta sta aumentando 10 volte più velocemente rispetto alle acque oceaniche. E' quanto emerge da uno studio condotto da un team di ricercatori dell'Università di Southampton.
Scrive ancora Ivan Gaddari:
“Il fenomeno, secondo i ricercatori, è evidente in prossimità dell'agglomerato urbano, derivante da quello che in gergo viene definito "effetto isola di calore". Lo sviluppo economico produce grandi quantità di calore, che si ripercuote sulle coste con un riale della temperatura nelle acque adiacenti.

Cambiamenti irreversibili.
Venezia, lo sappaimo, è una delle città più popolari al mondo: ogni anno è visitata da circa 22 milioni di persone. E' evidente come l'economia della zona dipenda quasi esclusivamente dal turismo. Anche se alle persone comuni potrebbe sembrare insignificante, la variazione di temperatura è violenta e il rapido riscaldamento provoca cambiamenti irreversibili nella habitat lagunare.

Moria di pesci.
L'innalzamento termico riduce la quantità di ossigeno disciolto in acqua. Le conseguenze di questo sono devastanti soprattutto per il settore della pesca, non a caso da diversi anni vi è stato un graduale declino delle popolazioni di pesci in tutta la laguna veneta. Emerge, quindi, la necessità imprescindibile di trovare un equilibrio tra i benefici del turismo e le ripercussioni ambientali.

Non solo Venezia.
Il problema è più diffuso di quanto si pensi. Lo stesso fenomeno si osserva anche in grandi metropoli come Londra e Seoul.”

Il 2012 è stato l'anno peggiore di sempre.
Per comprendere l'entità della fusione dei ghiacci artici, la NASA ha recentemente pubblicato due immagini satellitari che mettono a confronto la situazione dopo l'estate del 1984 e quella terribile del 2012.
La prima mostra il minimo raggiunto nel 2012 (pari a una superficie di 3,42 milioni di kmq ), la seconda è relativa al minimo del 1984, quando alla fine dell'estate si raggiunse un valore prossimo alla media e pari a 6,7 milioni di kmq.
L'estate del 2012 ha registrato un tasso di fusione mai visto, basti pensare che nel mese di giugno, in meno di 24 ore, la superficie diminuì di 170-175.000 chilometri quadrati.
Nel mese di agosto, come spesso accade, la fusione ha rallentato. Eppure, soprattutto nella prima metà del mese, il tasso restò nettamente superiore alla media, con un picco di 100-150.000 chilometri quadrati al giorno contro una media mensile di 60-70 mila.

I cambiamenti climatici stanno danneggiando l'economia globale.
Sicurezza alimentare e cambiamenti climatici: quali le correlazioni? 
Il cambiamento climatico sta già contribuendo alla morte di quasi 400.000 persone l'anno e costa al mondo più di $1,2 trilioni di dollari, cancellando l'1,6% all'anno dal PIL mondiale. Sono i numeri a dir poco sconcertanti di un nuovo studio.
Gli effetti si fanno sentire in modo più acuto nei paesi in via di sviluppo, dove i danni alla produzione agricola derivanti da condizioni meteorologiche estreme legate ai cambiamenti climatici, stanno contribuendo alle morti per malnutrizione, alla povertà e alle varie malattie associate.
L'inquinamento dell'aria causato dall'uso dei combustibili fossili contribuisce alla morte di almeno 4,5 milioni di persone l'anno, si evince dall'analisi del rapporto. Lo studio, di 331 pagine, è stato pubblicato mercoledì dal gruppo DARA - una organizzazione non governativa con sede in Europa - e il Climate Vulnerable Forum. È stato scritto da più di 50 scienziati, economisti ed esperti di politica, e commissionato da 20 governi.
Entro il 2030, secondo la stima dei ricercatori, il costo combinato del cambiamento climatico e dell'inquinamento atmosferico salirà al 3,2% del PIL mondiale, con i paesi meno sviluppati del mondo destinati a subire perdite fino all'11% del loro PIL.
Sheikh Hasina, primo ministro del Bangladesh, ha dichiarato: "Un aumento della temperatura [le temperature sono già aumentate di 0.7C a livello globale a partire dalla fine del 19° secolo] è associata a perdita di produttività del 10% in agricoltura. Per noi, significa perdere circa 4m di tonnellate di grano, pari a circa 2,5 miliardi di dollari, ovvero circa il 2% del nostro PIL. Sommando altre perdite, siamo di fronte a un danno totale di circa il 3-4% del PIL. Senza tali perdite, avremmo potuto facilmente assicurare uno sviluppo più rapido".
Ma anche le principali economie rischiano di perdere colpi, derivanti sopratutto dell'estremizzazione del clima - siccità, inondazioni e altro ancora come tempeste sempre più intense - e danni che potrebbero cancellare il 2% del PIL degli Stati Uniti entro il 2030, mentre per la Cina si potrebbe tradurre in una perdita di circa $1.2tr a partire dalla stessa data.
Anche se molti governi hanno espresso il parere che il cambiamento climatico è un problema a lungo termine, vi è una crescente presa di coscienza. Gli scienziati sono decisamente allarmati per la fusione sempre più rapida del ghiaccio marino artico, che ha raggiunto un nuovo minimo record nei giorni scorsi e, nel caso la fusione continuasse a tassi simili, il ghiaccio potrebbe scomparire del tutto in estate entro la fine del decennio.
Alcune ricerche suggeriscono che questa accelerazione nella fusione potrebbe essere legata al freddo e alle estate decisamente piovose in alcune parti d'Europa - come ad esempio nel Regno Unito negli ultimi sei anni. Negli Stati Uniti, la gravissima siccità di quest'anno la siccità ha aumentato i prezzi alimentari e in India l'interruzione del monsone ha causato notevoli danni agli agricoltori.
Connie Hedegaard, a capo dell'ufficio climatico dell'Unione europea, ha ammonito i Paesi della Comunità sull'estremizzazione climatica. "I cambiamenti climatici e meteorologici non sono un qualcosa di astratto, appartenente al futuro. Sono già qui", ha dichiarato in un commento per il Guardian la settimana scorsa.
Michael Zammit Cutajar, segretario ex dirigente della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha detto: "Il cambiamento climatico non è solo una minaccia lontana, ma un pericolo attuale. Il suo impatto economico è già presente".
La sicurezza alimentare dei paesi insulari e costieri è minacciata dal cambiamento climatico e dall'acidificazione degli oceani, avverte il gruppo ambientalista Oceana.
La sicurezza alimentare dei paesi insulari e costieri è minacciata dal cambiamento climatico e dall'acidificazione degli oceani, avverte il gruppo ambientalista Oceana. Nel rapporto pubblicato recentemente, l'organizzazione lancia l'allarme soprattutto per i paesi del Golfo Persico, il Pakistan e la Libia.
Il rapporto include anche altri paesi e regioni, dalle Isole Færøer nel Nord Atlantico alle Isole Cook nel Pacifico meridionale, o ancora l'Eritrea piuttosto che Singapore. Come sostengono gli esperti dell'organizzazione, i paesi più vulnerabili sono quelli in cui la dieta dei residenti si basa in prevalenza sul pesce. Il degrado degli habitat marini è maggiore in regioni politicamente instabili e nei paesi ricchi di petrolio.
"Il Golfo Persico è probabilmente una delle aree più colpite, si prevede una perdita di oltre il 50% delle catture", sostiene l'autore del report Matt Chilsempek. "Il settore della pesca sarà uno dei più colpiti dagli effeti del cambiamento climatico e dall'acidificazione delle acque".
I due problemi sono correlati, poiché i cambiamenti nella composizione chimica dell'oceano derivano dall'eccessivo assorbimento di CO2 dall'atmosfera. Questi cambiamenti hanno sconvolto l'equilibrio della vita marina in molti modi, si pensi ad esempio che l'aumento della temperatura delle acque marine spinge molte specie di pesci tropicali a migrare verso acque più fredde lontano dalla riva.
Maldive, Iran, Libia e Singapore sono tra i dieci paesi in cui la sicurezza alimentare è più a rischio a causa dei cambiamenti climatici. Nell'elenco dei paesi e delle regioni che vedranno notevolmente ridotte l'attività di pesca a causa dell'acidificazione degli oceani vengono prima le Isole Cook, ma rientrano nell'elenco anche il Pakistan, l'Eritrea e il Madagascar.
"La maggior parte delle nazioni che soffrono hanno contribuito al cambiamento climatico", spiega Chilsempek, aggiungendo che in questi paesi la pesca è carente di mezzi in grado di catturare le prede nelle acque più fredde e profonde. Secondo l'organizzazione Oceana, il pesce è la principale fonte di proteine per circa 1 miliardo di persone, ma alcuni dei paesi che dipendono dalla pesca dovranno fronteggiare una perdita fino al 40% delle loro riserve entro la metà del secolo.
Dalla COP 18 sui cambiamenti climatici emerge la difficoltà di avvicinare le posizioni molto distanti delle delegazioni sulle questioni princiapli che si stanno affrontando nella Conferenza dell’Onu.
Eppure i segnali sulla grave situazione climatica continuano ad arrivare dalle più autorevoli fonti istituzionali, scientifiche e dell’associazionismo.
La Banca Mondiale segnala uno scenario in cui si registra un aumento della temperatura globale pari a 4 °C, e non di 2 °C come si è detto finora. Il Fondo Monetario Internazionale affronta, nel suo recente report (Petrolio e drammatiche crisi economiche. Un report del FMI su QualEnergia.it), la preoccupante situazione economica che si verificherà quando il petrolio non sarà estratto in abbondanza come invece molti sostengono.
A Doha nei prossimi giorni si manifesteranno le posizioni di Cina, Stati Uniti ed Europa, quest’ultima abbastanza impegnata per il successo della Conferenza. Gli Stati Uniti, con Obama al secondo mandato, potrebbero avere una posizione più aperta, ma ora dipenderà soprattutto dalla Cina che, insieme a Brasile, India e gli altri Pvs, gioca un ruolo fondamentale nei negoziati.
Una delle discussioni in atto a Doha è rappresentata dall’intenzione di mettere tutte le fonti energetiche in una situazione di parità. Probabilmente non ci saranno concreti e spettacolari risultati, ma forse speriamo si stia facendo qualche passo verso una riflessione su come ridurre i sussidi alle fonti fossili e su come rilanciare le potenzialità delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.

Eppur si muove. Sotto l'apparente superficie di una trattativa che sembra in stallo, forse si apre uno spiraglio per due proposte convergenti che vengono dal Brasile (quindi da uno dei leader degli emergenti) e da Aosis (il gruppo delle piccole isole, i più a rischio). Due, com'è noto, sono le trattative parallele ed entrambe a rischio. Una su Kyoto 2 che dovrebbe entrare in vigore tra meno di un mese e l'altra sull'accordo globale che entro il 2015 dovrebbe estendersi a tutto il mondo per entrare in vigore nel 2020.
Ma su tutto incombe il gap drammatico tra allarme degli scienziati e politiche concrete. I primi ci dicono che se vogliamo tenere l'aumento di temperatura entro limiti sostenibili non dobbiamo superate le 44 Gton (milioni di tonnellate) di emissioni di gas di serra nel 2020, ma gli impegni finora presi dai vari Paesi portano a una previsione di emissioni che si aggira tra 52 e 57 Gton: ecco il gap di 8-13 milioni di tonnellate che va assolutamente ridotto se vogliamo evitare la catastrofe, ci dice IPCC.
E qui arrivano le proposte di Brasile e Aosis: in due anni di tempo (cioè ancora prima del 2015) individuiamo gli strumenti per colmare quel gap. Ban Ki Moon sembra prenderli sul serio quando inizia a parlare di un grande vertice di Capi di Stato e di Governo da tenersi nel 2014. Come si vede nulla di rivoluzionario, ma qualcosa più della morta gora in cui sembrava arenato il negoziato. Vedremo come finirà.

L'Anno  2013

Secondo i dati NOAA, novembre è stato il mese più caldo dall'inizio della serie di rilevazioni: la temperatura media della superficie terrestre e degli oceani è stata da record avendo fatto registrare uno scarto dalla norma pari a 0,78°C rispetto alla media del 20 ° secolo. L'attuale record supera il precedente record del 2004 di 0,03°C e risulta anche il più alto dal marzo 2010, uno degli ultimi mesi in cui le condizioni di El Niño erano presenti nella parte orientale e centrale equatoriale dell'Oceano Pacifico. 

A contribuire in modo rilevante a questo caldo anomalo globale, tra le aree terrestri spicca l'Eurasia e proprio in Russia è stato osservato il novembre largamente più caldo dal 1891. Poteva esservi un dato ancora peggiore a livello mondiale, se non fosse che in alcune aree (in particolare Nord America) hanno prevalso temperature inferiori alla norma. Il caldo anomalo di novembre ha contribuito a fare un balzo in avanti al 2013, che al momento si classifica come quarto anno più caldo dietro al 2010, al 2005 ed al 1998. 


Secondo i dati acquisiti dal Servizio Meteorologico Australiano, la temperatura media di tutto il 2013 ha superato il valore medio di sempre di 1,2°C. E' bene sottolineare che le rilevazioni ufficiali iniziarono nel 1910. Secondo gli esperti il caldo sempre più forte sarebbe un chiaro sintomo dei cambiamenti climatici. Particolare attenzione è stata prestata all'evoluzione invernale dello scorso anno, nel corso della quale attorno a Sydney si sono verificati i più grandi incendi degli ultimi 45 anni. "Il riscaldamento che sta interessando l'Australia", si legge in una nota del Servizio Meteorologico, è un riflesso della situazione Globale e l'andamento termico dello scorso anno dimostra come la tendenza attuale proceda verso un temperature sempre più alte e ondate di caldo durature". 

Gli esperti australiani sottolineano inoltre che la chiara tendenza al riscaldamento risale agli inizi del 1950, vale a dire nel momento in cui la temperatura ha cominciato ad aumentare in tutto il pianeta. Le proiezioni per il 2014 sarebbero poco incoraggianti, basti pensare ai vari record di caldo caduti come birilli in questo primo scorcio d'inverno. Il 2 Gennaio si sono sfiorati addirittura i 50°C, che non sono stati raggiunti per appena 3 decimi. 



L'Agenzia Meteorologica Spagnola ha pubblicato il resoconto sull'andamento delle temperature del mese di ottobre. La mappa ci mostra le anomalie delle massime: dai 7 agli 11°C sulla stragrande maggioranza delle Comunità iberiche (sud della Catalogna, Valencia e Murcia le più calde in assoluto). La causa di tanto caldo è imputabile ad una combinazione di fattori: le frequenti rimonte anticicloniche africane e i venti da ovest che dopo aver incontrato le regioni montuose dell'interno si gettano con intense raffiche di foehn sulle coste orientali. Il riscaldamento per compressione adiabatica ha spinto, localmente, i termometri a ridosso dei 35°C. Mercoledì 16 ottobre, ad esempio, la stazione dell'aeroporto di Valencia ha registrato una massima di 34.3°C, il più alto valore in assoluto di ottobre. 



La California si avvia rapidamente verso la conclusione del terzo inverno consecutivo all'insegna della siccità. Siccità che sta causando in alcune aree dello Stato, devastanti incendi. Il più grande è esploso il 16 dicembre, presso Big Sur, che nell'arco di alcuni giorni ha distrutto diverse abitazioni costringendo le autorità locali all'evacuazione di circa 100 famiglie. La causa scatenante rimane sconosciuta, è quanto si apprende in una nota del US Forest Service, dalla quale si evince anche che le condizioni di siccità sono talmente gravi da facilitare lo sviluppo di enormi incendi. "Di solito questo periodo dell'anno è più umido, ma finora abbiamo avuto pochissima pioggia", ha dichiarato Lynn Olson, portavoce del US Forest Service. "I venti caldi, il clima eccessivamente mite e la secchezza della vegetazione fanno sì che il livello di guardia sia altissimo", ha aggiunto Olson". Attualmente, oltre il 75 per cento dello stato si trova in condizioni di siccità medio-alta, mentre quasi l'8 per cento è affetto da siccità estrema eccezionale. Secondo le proiezioni stagionali stilate dal noto sito AccuWeather.com, la siccità potrebbe proseguire per tutto l'inverno. "Il 2013 sarà probabilmente l'anno più secco della storia", ha dichiarato il meteorologo Pastelok. "Le riserve idriche californiane non si sono ancora riprese dalla siccità dello scorso anno e la situazione rischia di diventare drammatica". 



Un'estate fantastica inserita all'interno di un anno in prevalenza grigio e bagnato: così si potrebbe sintetizzare l'andamento climatico dell'anno 2013 in Svizzera, sulla base di un primo bilancio già tracciato dagli esperti di SRF Meteo, nonostante manchino ancora due settimane al termine dell'anno. Nel complesso è stato un 2013 ben più piovoso del solito e senza mezze misure, nonostante temperature ed irraggiamento solare complessivamente risultati nella media: nel dettaglio tuttavia la primavera praticamente non c'è stata, per via di un inverno che si è protratto fino alla fine di maggio. Dicevamo dell'estate che merita un discorso a sé, in quanto per la Svizzera è stata la settima più calda dall'inizio delle misurazioni (anno 1864): a Zurigo è stata addirittura la seconda più soleggiata da 100 anni. Il primato di caldo spetta a Basilea, dove il 27 luglio si sono toccati 37.3 gradi, valori che non si misuravano dall'estate 2003 (celebre in quell'anno fu il record assoluto di Grono con 41.5 gradi). Il 10 febbraio a La Brévine (cantone di Neuchatel) si sono misurati -31.4 gradi ed è stata la giornata più rigida. Il 2013 nel trend che mostra come dall'inizio del millennio non è stato più rilevato alcun ulteriore riscaldamento nella regione alpina.

 

Clima, rapporto Ipcc: Pianeta “malato”, rischi per l’uomo
Scenario da apocalisse: milioni di persone al collasso per fame e sete
di red/asp - 31 marzo 2014 11:36 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma

Il pianeta terra è “malato” e gli effetti del riscaldamento globale probabilmente sono “gravi e irreversibili”. È impietoso il giudizio dell’Ipcc (Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite) nel rapporto diffuso oggi a Yokohama, Giappone, sullo stato di salute mondiale dell’ambiente. I dati confermano che il cambiamento climatico “è una realtà, sta avvenendo ora e sta colpendo le vite e il benessere di intere popolazioni così come quello di ecosistemi delicati alla base di importanti cicli vitali”. Basti pensare alle ondate di calore che hanno colpito l’Europa nel 2003, alle devastazioni prodotte dagli uragani negli Stati Uniti e agli incendi in varie parti del pianeta. Secondo gli oltre 1.700 scienziati che hanno lavorato al rapporto (in vista delle decisioni che dovranno essere prese nella conferenza di Parigi nel 2015) ci sono prove “schiaccianti” anche sugli effetti per l’uomo, in particolare per quanto riguarda salute, cibo e sicurezza.

I raccolti di mais, riso e frumento, secondo le proiezioni, sono destinati a calare del 25% entro il 2050 e molte specie di pesci potrebbero migrare in zone diverse dall’habitat naturale. Lo scenario è quello di milioni di persone al collasso per fame e sete e un’umanità dilaniata da guerre, carestie, alluvioni ed esodi di massa. Gli effetti maggiori, si legge nel comunicato finale dell’Ipcc, si verificheranno ai tropici e ai Poli, nelle piccole isole e nei grandi continenti sia in paesi ricchi, sia in paesi poveri. Attualmente i paesi in via di sviluppo e le comunità rurali stanno subendo e subiranno i danni maggiori per gli impatti sulla produzione alimentare, gli allevamenti di bestiame e le economie locali. Molte popolazioni al mondo sono altamente vulnerabili ad un riscaldamento che superi i 2°C rispetto ai livelli pre industriali. Per il presidente dell’Ipcc Rajendra Pachauri, riporta il sito della Bbc, “nessuno su questo pianeta può essere esentato dagli impatti dei cambiamenti climatici”.

EUROPA SOTTO PRESSIONE - L’Europa centrale e settentrionale (compreso il Regno Unito) saranno pesantemente impattati dalle inondazioni dei fiumi con la possibilità di raddoppiare i danni già attuali. Tenendo conto gli impedimenti alla crescita economica le perdite da inondazioni in Europa in uno scenario da 5.5°C potrebbero incrementare di 17 volte. Scenari foschi anche per la biodiversità europea: fino al 9% dei mammiferi saranno a rischio di estinzione e fino al 78% saranno severamente minacciati dal pericolo di estinzione. Il turismo invernale nelle zone montane e quello estivo nell’area mediterranea decresceranno con l’incremento delle temperature. Il cambiamento climatico produrrà, inoltre, un declino della produttività alimentare dovuto anche a malattie e diffusione dei funghi parassiti, che avrà effetti significativi sulla sicurezza alimentare mondiale. Nell’Europa meridionale le condizioni di piovosità saranno ristretti a certi periodi in inverno e in primavera. I rischi di incendi negli habitat naturali e anche di megaincendi continueranno a crescere, come lo faranno i rischi dovuti alle tempeste di vento. Il valore delle foreste europee declinerà di diverse centinaia di miliardi di euro e le incidenze di malattie dovute ad insetti, funghi ed altri parassiti incrementeranno. Le temperature in mare più calde e i fenomeni di acidificazione oceanica impatteranno seriamente sull’industria del pesce e dei molluschi bivalvi. Il cambiamento climatico produce e continuerà a produrre significativi effetti sulla biodiversità europea, incluse le modalità temporali delle migrazioni e dei periodi di riproduzione degli uccelli. Si prevede che gli habitat adatti per la riproduzione degli uccelli si dovranno “spostare” di circa 550 chilometri entro la fine del secolo. Fino al 9% dei mammiferi saranno a rischio di estinzione e fino al 78% saranno severamente minacciati dal pericolo di estinzione. Ad oggi una specie invasiva giunge nel mar Mediterraneo ogni 4-5 settimane. Questo tasso continuerà a crescere.

“Il rapporto per la prima volta sottolinea la marcata differenza tra ciò che la Terra potrebbe essere se agiamo ora per tagliare le emissioni di gas serra, che attualmente provengono per la maggior parte dall’uso dei combustibili fossili, e quello che potrebbe accadere in assenza di azioni veloci e adeguate – ha dichiarato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia –. Questo report ci pone dinanzi a due scelte: tagliare le emissioni ora e investire in azioni di adattamento e avere un pianeta su cui gravano rischi affrontabili, seppur a fatica e con grandi costi, oppure, non fare nulla e prepararci a un mondo di rischi e impatti devastanti e fuori controllo. Il Report è molto chiaro su questo punto: non c’è da aspettare. Siamo ancora in tempo per limitare i danni adottando tutte le forme di adattamento possibili rispetto agli effetti che vediamo oggi.- ma senza azioni immediate e specifiche per eliminare le emissioni di gas serra, gli effetti saranno ben più gravi e oltre i limiti di un possibile adattamento. Speriamo che il prossimo report IPCC che verrà reso noto a Berlino in aprile darà indicazioni chiare sulle soluzioni attuabili”. 

Allarme Onu sul clima: "Gas serra ai massimi da 800mila anni, resta poco tempo"

Le concentrazioni di gas serra hanno raggiunto i massimi livelli da 800mila anni a questa parte e se non verranno drasticamente ridotte i cambiamenti climatici impatteranno in maniera "severa, globale e irreversibile" sul nostro Pianeta: a lanciare l'ennesimo grido d'allarme è il rapporto finale del Gruppo di esperti sui cambiamenti climatici dell'Onu (Ipcc), sintesi di tre precedenti report pubblicati nei mesi scorsi. Un documento presentato a Copenaghen che racchiude sette anni di lavoro di migliaia di scienziati di oltre 190 Paesi di tutto il mondo ed ha ottenuto l'approvazione dei governi.
"Le emissioni mondiali di gas serra devono essere ridotte dal 40 al 70% tra il 2010 e il 2050 e sparire definitivamente dal 2100 - spiega l'Ipcc -. La temperatura media della superficie della Terra e degli Oceani ha acquistato 0,85°C tra il 1880 e il 2012. Resta poco tempo per riuscire a mantenere l'aumento della temperatura entro i 2 gradi centigradi" rispetto al 1990, il limite che si è dato la comunità internazionale per evitare conseguenze tragiche per l'uomo è la natura. Per gli scienziati, la causa principale dell'aumento dei gas serra e del riscaldamento del Pianeta, è dovuta principalmente alla combustione di carboni fossili e alla deforestazione. E gli effetti di questa situazione sono già visibili in tutto il mondo: aumento delle precipitazioni in alcune zone e scomparsa in altre; distribuzione alterata delle specie marine e terrestri; raccolti generalmente in calo; ondate di calore più frequenti in Europa, Asia e Australia. Se il riscaldamento del clima continua, avverte l'Ipcc, le conseguenze saranno gravi in termini di sicurezza alimentare, disponibilità di acqua potabile, inondazioni e tempeste, con un probabile aumento in alcune aree di conflitti per l'accesso alle risorse.
"Dobbiamo agire ora per ridurre le emissioni di CO2, ridurre gli investimenti nel carbone ed adottare energie rinnovabili per evitare il peggioramento del clima che si riscalda ad una velocità senza precedenti - commenta il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon -. L'azione contro il cambiamento climatico può contribuire alla prosperità economica, ad un migliore stato di salute e a città più vivibili", aggiunge Ban Ki-moon che lo scorso 23 settembre ha organizzato un summit dell'Onu sul clima a cui hanno preso parte 120 capi di Stato e di governo. "Quelli che decidono di ignorare o di contestare i dati esposti in questo rapporto, mettono in pericolo noi e le generazioni future", sottolinea il segretario di Stato Usa, John Kerry. La Francia si appella ad "una mobilitazione universale e immediata" sul cambiamento climatico, mentre per il nostro ministro per l'Ambiente, Gianluca Galletti, "il rapporto Ipcc sui gas serra è una chiamata alle responsabilità per il mondo, serve una presa di coscienza globale".
Per il Wwf Italia il rapporto "ci dice che noi siamo la causa dei cambiamenti climatici e che la nostra dipendenza dai combustibili fossili è di gran lunga la principale fonte di inquinamento che sta cambiando il nostro clima. Ora tocca ai Governi". "Più aspettiamo, più il cambiamento sarà costoso - avverte l'Ipcc -. Abbiamo i mezzi per limitare il cambiamento climatico, le soluzioni sono numerose e permettono uno sviluppo umano ed economico continuo. Serve solo la volontà di cambiare". Gli esperti sottolineano che sono i paesi in via di sviluppo "i più vulnerabili" perché hanno meno mezzi per far fronte all'impatto dei cambiamenti climatici. In Europa - secondo un recente rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente (Eea) - su 33 Paesi (quindi non solo quelli dell'Ue) 21 si sono già dotati di una strategia di adattamento e 17 - soprattutto in Nord e Centro Europa - hanno anche un piano nazionale. L'Italia lo ha adottato proprio nei giorni scorsi e lo renderà noto a breve. Il rapporto dell'Ipcc servirà come base scientifica ai responsabili politici impegnati nelle negoziazioni internazionali sul clima, che avranno il prossimo step nella conferenza mondiale sul clima a Lima, il prossimo dicembre, in vista della conferenza di Parigi a fine 2015. Che sarà il vero banco di prova degli impegni mondiali sulla riduzione dei gas serra e della volontà di salvare la Terra da quel punto di non ritorno che ci potrebbe costare troppo caro.

Lima (Perù) 14 dicembre 2014: la conferenza Onu sul clima approva il documento finale.


Le trattative tra i rappresentanti dei 195 Paesi vertono principalmente sulle questioni finanziarie e le informazioni che dovrà presentare ogni Stato sui propri contributi nella riduzione delle emissioni in modo da poter comparare i risultati.
Dopo una nottata di negoziati alla conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Lima, si è raggiunto finalmente un accordo sulla lotta al riscaldamento globale che dovrà essere firmato a Parigi nel 2015. A dichiarare approvato il testo è stato Manuel Pulgar Vidal, ministro peruviano dell'Ambiente e presidente della conferenza, davanti alla plenaria delle delegazioni di 145 paesi presenti all'incontro, che hanno subito applaudito il via libera al documento. "Sarebbe una buona idea chiamare il testo 'Appello di Lima per l'azione per il clima'", ha aggiunto Pulgar Vidal.
La trattativa rischiava di naufragare per il rifiuto della Cina di accettare una bozza definita non equa perché non riconosce le differenze tra le economie industrializzate e quelle emergenti, ponendo su quest'ultime un carico eccessivo. "Siamo in una situazione di stallo", avevano affermato dalla delegazione di Pechino che, pur dividendosi con gli Stati Uniti lo scettro di principali inquinatori del pianeta, producendo un quarto del totale globale delle emissioni di gas serra, si annovera tra le economie in via di sviluppo.

Ma ecco, riassunti, i 7 punti di cui si parlerà in Perù durante le prossime due settimane:
Accelerare la ratifica dell'emendamento di Doha al Protocollo di Kyoto
I paesi che hanno sottoscritto il Protocollo di Kyoto hanno un'ulteriore opportunità di contribuire alla riduzione delle emissioni ambiziose prima del 2020. L'emendamento di Doha del protocollo di Kyoto deve essere ratificato dai paesi prima che possa entrare in vigore. Il processo di ratifica deve essere accelerato e devono essere adottate regole contabili chiare a Lima in modo che la modifica entri in vigore entro la riunione di Parigi.

Fornire trasparenza dell'azione dei paesi sviluppati
Per la prima volta 17 paesi saranno sottoposti a “valutazione multilaterale” dell'azione svolta per ridurre le emissioni.

Costruire la resilienza ai cambiamenti climatici
Si dovranno stabilire le modalità dei piani nazionali di adattamento dei paesi in via di sviluppo, il modo in cui saranno finanziati e trasformati, in chiave sostenibile.

Finanziare la risposta al cambiamento climatico
I governi lavoreranno per scalare e coordinare la consegna dei finanziamenti per il clima e dei vari fondi esistenti. Uno dei target riguarderà l'individuazione di modalità per accelerare finanziamenti per l'adattamento ai cambiamenti climatici.

Foreste
I paesi riuniti a Lima dovranno impegnarsi a trovare una soluzione contro la deforestazione. Diversi paesi in via di sviluppo sono tenuti a presentare informazioni che consentano loro di ottenere finanziamenti per la protezione delle foreste.

Fornire tecnologie ai paesi in via di sviluppo
Rendere pienamente operativo il Technology Mechanism, ed in particolare il Climate Technology Centre and Network.

Carbon market e loro aumento
I governi riuniti a Lima saranno tenuti a chiarire il ruolo dei mercati del carbonio nell'accordo globale del 2015 e impostare un programma di lavoro per il prossimo anno al fine di progettare e rendere operativi nuovi meccanismi di mercato.

Clima, cosa manca e cosa c’è nell’accordo di Lima

Troppo poco per gli ambientalisti, troppo per i negazionisti del Climate Change. Certo è che la ventesima Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite (COP20) tenutasi dal primo alla notte del tredici dicembre nella capitale peruviana, stabilisce una road map di avvicinamento a quella che sarà invece la conferenza decisiva a Parigi, nel dicembre 2015, dove i governi dovranno assumere decisioni definitive per evitare la soglia di aumento del riscaldamento globale oltre i 2 gradi centigradi.

Soglia limite stabilita dall’ultimo rapporto IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, che ha calcolato un taglio necessario del 40-70% delle emissioni entro il 2050, per evitare l’ulteriore surriscaldamento del pianeta e scenari apocalittici se solo la temperatura si innalzasse fino ai 3,7-4,8 gradi centigradi a fine secolo (rispetto ai livelli preindustriali).
Con azioni che dovranno riguardare la limitazione di combustibili fossili, il blocco della deforestazione, così come l’introduzione di tecniche in grado di produrre emissioni negative, in grado cioè di assorbire gas serra dall’atmosfera su vasta scala, entro il 2100. Insieme alle misure per il miglioramento dell’efficienza energetica e lo sviluppo di fonti rinnovabili.
Azioni che vanno messe nero su bianco, anche perché le riduzioni volontarie decise, ad esempio, alla conferenza di Copenaghen del 2009, hanno prodotto, al contrario, un aumento delle emissioni di gas serra di oltre il 2% l’anno.
In ogni caso l’accordo votato dalle 196 nazioni presenti con oltre 11 mila delegati e negoziatori, in 5 pagine tutte da interpretare appare ancora un documento basato sul “disaccordo sul clima” ben rappresentato dall’infografica dell’Italian Climate Network che mette a nudo la contrapposizione tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo, pur ponendo timide basi per un’inversione di marcia.

Ecco alcuni degli elementi più importanti:

Principio di responsabilità comune ma differenziata
Già introdotto nella prima Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel 1992 (United Nations Framework Convention on Climate Change da cui l’acronimo UNFCCC), riconferma che ogni nazione deve intraprendere delle azioni per mitigare, ridurre o limitare il cambiamento climatico in base alle proprie capacità finaziarie e infrastrutturali.

Lost & Damage
E’ stato introdotto “Lost & Damage” lo strumento attraverso il quale i Paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili alle conseguenze dei cambiamenti climatici potranno ricevere delle compensazioni economiche per le calamità naturali ormai inevitabili.

Non solo taglio emissioni gas serra ma anche adattamento climatico
Altra introduzione: il principio secondo il quale le negoziazioni di Parigi riguarderanno sia la mitigazione ambientale (ovvero il taglio delle emissioni di gas serra) sia l’adattamento climatico cioè le azioni per limitare i danni ormai non evitabili.

Finanza climatica
Viene istituito il Green Climate Fund ed è in previsione un report di sintesi per valutare quale sarà l’effetto aggregato degli impegni di riduzione di emissioni degli Stati. Così come quali elementi dovranno essere presenti nel determinare gli impegni di ogni Paese. Il fondo istituto supera già i 10 miliardi di dollari.

Ma cosa manca e cosa sarà deciso invece a Parigi? 

Come ricorda Veronica Caciagli, presidente di Italian Climate Network, “soprattutto se la natura legale del prossimo accordo, sarà vincolante o meno- ricordando che gli impegni degli Stati per la riduzione delle emissioni di gas serra non erano in discussione a Lima, in quanto era già stato deciso che dovranno essere comunicati al segretariato dell’ UNFCCC entro il 31 marzo prossimo”.
Gli Stati quindi dovranno approntare nei prossimi sei mesi una serie di piani d’azione nazionali, che insieme dovranno costituire il primo piano d’azione globale per liberarci dai combustibili fossili e raggiungere il 100% di rinnovabili entro il 2050, con impegni di riduzioni al 2020 aggiuntivi a quelli attuali per garantire il rispetto della soglia critica dei 2°C.

Notiziario utile

http://www.provincia.torino.gov.it/ambiente/file-storage/download/energia/pdf/progetti/seap_alps/formazione_comuni/14_11_2013/presentazione_mercalli.pdf

http://www.reteclima.it/protocollo-di-kyoto/

 

2015 - Conferenza sul clima, il mondo a Parigi per salvare se stesso

Parigi 2015


Il 25 novembre 2015 si è aperta a Parigi il Cop21, sigla che indica la ventunesima Conference of the Parties sotto l'egida delle Nazioni. Per due settimane i rappresentanti di 190 paesi si sono riuniti per discutere come frenare il riscaldamento del pianeta, limitare l'escalation nelle emissioni di CO2, arginare finché si è in tempo i disastri naturali provocati dall'aumento delle temperature nell'atmosfera e negli oceani.
Il cambiamento climatico è una sfida non meno temibile del terrorismo, per l'umanità intera. Sì, in pericolo siamo noi e i nostri discendenti, l'espressione "salvare il pianeta" è un sintomo di "antropo-centrismo": il pianeta esisteva milioni di anni prima e continuerà anche dopo di noi, se lo renderemo inabitabile. La stessa guerra civile in Siria ebbe tra le cause scatenanti una drammatica siccità; uno dei tanti sconvolgimenti naturali a cui saremo sottoposti sempre più spesso, con il costo umano espresso in migrazioni di massa, impoverimento, violenza. Gli scienziati sono sostanzialmente unanimi nell'indicare la soglia da non oltrepassare: bisogna impedire che l'atmosfera media del pianeta aumenti di oltre due gradi centigradi. Al di là, si entrerebbe in una dinamica quasi irreversibile.
Sul terreno politico il primo obiettivo di Parigi è "cancellare Copenaghen". Bisogna superare l'onta di quel summit che nel dicembre 2009 si concluse in un fiasco: paralizzato dallo scontro tra le superpotenze, America da una parte, Cina e India dall'altra; con l'Europa spettatrice impotente nella battaglia dei veti. Ma da allora qualcosa è cambiato. L'enciclica Laudato Sì di papa Francesco ha rafforzato la consapevolezza di una sfida comune per il genere umano; potrebbe contribuire a ridurre le resistenze in alcuni ambienti della destra americana, negazionisti sul clima ma sensibili ai richiami etici e religiosi. Una svolta geopolitica si è delineata un anno fa a Pechino nel vertice tra Barack Obama e Xi Jinping. In quell'occasione il presidente cinese annunciò un piano ambizioso per la riduzione delle emissioni carboniche con l'obiettivo di fermarne la crescita entro il 2030 o prima; un impegno- chiave visto che la Cina è ormai di gran lunga la più grande generatrice di CO2. Soprattutto, quell'accordo segnò una svolta nell'atteggiamento di Pechino: la rinuncia all'approccio conflittuale e rivendicativo del passato, quando la leadership cinese aveva impostato le sue riforme ambientali come altrettante "concessioni" all'Occidente sviluppato, lesinandole in nome del fatto che noi paesi ricchi abbiamo inquinato per due secoli prima degli altri. Dal novembre 2014 Xi ha cominciato a usare un linguaggio diverso, consapevole che è un interesse strategico della Cina combattere il cambiamento climatico, visti i danni che ne sta pagando e che cresceranno a dismisura. Manca all'appuntamento un terzo grande protagonista, l'India di Narendra Modi. Pur corteggiato da Obama, Modi è rimasto fermo sull'atteggiamento rivendicativo. Anzi l'India è ormai la vera leader del fronte degli emergenti, che continuano a vedere nei tagli alle emissioni di CO2 un terreno negoziale sul quale vogliono più concessioni dai paesi ricchi. Al centro della diatriba Nord-Sud c'è la scarsità di aiuti dai paesi industrializzati per finanziare la riconversione alle energie rinnovabili: solo 100 miliardi di dollari promessi nel 2009, e neanche quelli sono stati effettivamente versati.
Lo stato dell'arte alla vigilia dell'appuntamento di Parigi è insoddisfacente. 170 paesi, che rappresentano il 90% delle emissioni carboniche, hanno presentato i loro piani nazionali. Ma per ora la sommatoria di questi piani - anche ammesso che vengano realizzati scrupolosamente - porterebbe a un aumento di 2,7 gradi nella temperatura media del pianeta, sfondando la soglia fissata dagli scienziati. Lo conferma l'ultimo rapporto Onu: "Con i piani attuali non si evita un aumento sostanziale delle emissioni da qui al 2030".
Ciascun paese porta a Parigi il peso delle sue contraddizioni. Obama è il presidente più "verde" che l'America abbia avuto, vuole che Cop21 diventi un "segno distintivo" della sua eredità politica. Ha fatto cose coraggiose e perfino drastiche, come le norme sulle centrali elettriche che ridurranno del 26% le emissioni entro il 2025, o il veto al maxi- oleodotto col Canada. Ma tra un anno si vota e se gli americani dovessero eleggere un presidente repubblicano molte delle riforme di Obama potrebbero essere smantellate. Le dinamiche di mercato giocano in più direzioni. Il progresso tecnologico è inarrestabile nelle fonti rinnovabili, oggi l'energia solare prodotta in California costa l'80% in meno dall'epoca di Copenaghen. Ma al tempo stesso è crollato il prezzo del petrolio, la benzina è scesa sotto i 2 dollari al gallone per la prima volta dal 2004, col risultato che tra gli automobilisti americani torna di moda il Suv, veicolo energivoro e inquinante.
Tant'è, l'americano medio continua a emettere tre volte più CO2 del cinese medio. L'Europa, che avrebbe molte ragioni per considerarsi il primo della classe sui temi ambientali, ancora deve rimettersi dallo scandalo Volkswagen che ha intaccato le credenziali verdi della Germania. Inoltre il Vecchio Continente ha le sue contraddizioni interne, che l'amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi ha esposto qui a New York nel forum del Council for Foreign Relations: per bilanciare l'alto costo delle rinnovabili sovvenzionate, molti paesi europei continuano a consumare carbone in modo significativo, cioè la peggiore delle energie fossili. Il mix rinnovabili più carbone è a dir poco schizofrenico.
Lo scetticismo sugli esiti di Parigi ha indotto Hollande - molto prima degli attacchi terroristici - a rivedere l'agenda dei lavori, collocando l'arrivo dei capi di Stato all'inizio (30 novembre) anziché alla fine (15 dicembre) del summit. I cinici ne danno una chiave di lettura pessimista: così i leader evitano di "metterci la faccia", saranno già partiti quando il summit si chiuderà, una débacle non li coinvolgerà personalmente. Il consigliere strategico di Obama, Ben Rhodes, cerca di essere realistico e rassicurante al tempo stesso su ciò che bisogna attendersi da questo grande summit: "Tutti abbiamo imparato le lezioni più amare, da Copenaghen e anche dal primo vertice di Kyoto. Per essere raggiungibili, gli obiettivi devono essere fissati e adottati con convinzione da ciascun paese, non si va avanti a colpi di imposizioni esterne".
Quindi, a Parigi si è ripartiti dal mezzo fallimento di Copenaghen per provare a concludere un nuovo accordo, fondamentale per decidere come affrontare il tema del cambiamento climatico nei prossimi 15 anni, almeno. Gli attuali impegni concordati tra i paesi del mondo sul clima scadono nel 2020: è quindi necessario un accordo di più ampio respiro che stabilisca le regole almeno fino al 2030. Con tutte le cautele del caso, visti i precedenti, c’è comunque un discreto ottimismo sulla COP21, perché su alcuni punti il lavoro sarà più che altro di coordinamento tra gli impegni già assunti da paesi e organizzazioni sovranazionali.
L’Unione europea, per esempio, ha già preso l’impegno di ridurre del 40 per cento le sue emissioni rispetto a quelle del 1990, raggiungendo questo obiettivo proprio nel 2030. Cina e Stati Uniti quest’anno si sono messi d’accordo per avviare una riduzione delle loro emissioni: il governo cinese dice che le sue emissioni raggiungeranno il loro massimo entro il 2030, gli Stati Uniti promettono di ridurre le emissioni del 26-28 per cento rispetto ai livelli del 2005, raggiungendo questo obiettivo entro il 2025. Nel complesso, comunque, i paesi responsabili del 90 per cento circa delle emissioni totali hanno già assunto impegni precisi sulle riduzioni delle emissioni nei prossimi anni.
La temperatura media del pianeta continua ad aumentare, ma a un ritmo inferiore rispetto al trentennio finito nel 1998. Gli scettici hanno usato questo dato per screditare gli studi sul cambiamento climatico, ma se si guardano i dati è evidente che le temperature non sono diminuite. Inoltre, negli ultimi due anni l’aumento è stato più consistente ed è ormai certo che il 2015 sarà l’anno più caldo mai registrato nella storia.

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Climatologi e altri ricercatori concordano sul fatto che se si supereranno i 2 °C in più, rispetto alla temperatura media dell’era pre-industriale, gli effetti del riscaldamento globale saranno irreversibili. Agli attuali ritmi, entro la fine del secolo si potrebbe arrivare a 5,4 °C in più rispetto all’era pre-industriale, da qui la necessità di cambiare le cose nei prossimi decenni prima che sia troppo tardi. Il problema è che secondo molte proiezioni il miglior accordo possibile a Parigi porterà al superamento di 2,7 °C, quindi comunque ben oltre il limite irreversibile dei principali modelli. Per questo motivo alla conferenza dovranno essere approvati meccanismi di revisione dell’accordo, in modo che ogni cinque anni le quote delle emissioni possano essere riviste (con limiti più rigidi), in modo da raggiungere l’obiettivo anche in seguito al comportamento del clima.

Fare previsioni accurate sull’andamento del clima è molto difficile, le variabili sono numerosissime e coinvolgono l’andamento delle stagioni ogni singolo anno, la presenza o meno di eventi che si presentano ciclicamente come El Niño, anomalie nella registrazione dei dati e la difficoltà stessa nel gestirli e metterli insieme. Per questo motivo i ricercatori provano a identificare specifici andamenti osservando serie storiche di decine di anni – dove è possibile di secoli – valutando i principali indiziati delle oscillazioni nelle temperature, attività umane comprese. Spesso la confusione tra singoli eventi atmosferici e clima in generale non aiuta l’opinione pubblica ad avere un’idea precisa dell’effettiva importanza del tema, indubbiamente la sfida più grande che l’umanità deve affrontare in questi anni.

Molti analisti ritengono che il cambiamento climatico costituisca un’enorme opportunità economica, perché la transizione da economie basate sui combustibili fossili (petrolio, carbone, per citarne un paio) a economie che si basano sulle energie rinnovabili può essere l’occasione per creare milioni di posti di lavoro, nuove opportunità e aprire mercati che finora sono stati marginali. Il problema è che per farlo sono necessari investimenti giganteschi nel breve-medio periodo, che si ripagheranno in un futuro più distante. I paesi in via di sviluppo, inoltre, chiedono da tempo alle economie già affermate di dare loro una mano a convertirsi alla produzione di energia “pulita”, come compensazione visto che hanno potuto beneficiare per molto meno tempo degli altri tipi di energia più economica ma anche più inquinante. A Parigi si è parlato molto anche di questo.

Nel mezzo disastro del vertice di Copenaghen, un punto fu comunque affermato: i paesi ricchi devono aiutare quelli più poveri a organizzare politiche per ridurre le emissioni. I paesi industrializzati concordarono lo stanziamento di 30 miliardi di dollari come prima fonte di assistenza, impegnandosi non formalmente a distribuire in tutto 100 miliardi entro il 2020. I paesi in via di sviluppo a Parigi chiedono che nel patto siano comprese garanzie su questo impegno, che è comunque stato mantenuto in buona parte già adesso, e chiedono che politiche simili siano estese anche dopo il 2020, cosa su cui sarà invece più complicato raggiungere un accordo.

• A Parigi, 190 paesi del mondo hanno discusso per un nuovo accordo sul cambiamento climatico.

• La COP21 lavorerà per trovare un nuovo accordo per ridurre le emissioni, in modo da rallentare ulteriormente il riscaldamento globale.

• I paesi in via di sviluppo chiedono nuove garanzie per ricevere incentivi e finanziamenti per le loro politiche energetiche “pulite”.

• Per la prima volta Stati Uniti e Cina arrivano a una conferenza sul clima con impegni precisi sulle emissioni, e un livello di coinvolgimento superiore al solito.

• Nessuno vuole ripetere l’insuccesso della conferenza di Copenaghen del 2009, la possibilità di un nuovo accordo sul clima è più concreta che mai.

La COP21 di Parigi era partita sullo slancio degli impegni nazionali sul clima portati da oltre 180 Paesi, dei discorsi appassionati di più di 150 capi di stato e governi e  delle mobilitazioni senza precedenti, in tutto il mondo, di centinaia di migliaia di cittadini per chiedere un’azione forte sul cambiamento climatico.

Dopo due settimane di negoziati, i governi hanno raggiunto un accordo che rappresenta un buon punto di partenza per fissare l’obiettivo di lungo termine. Questo deve urgentemente essere rafforzato e completato con un’azione forte nel breve termine se vogliamo avere qualche speranza di raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto di 2 gradi C o 1,5 gradi C. Inoltre, il finanziamento per l'adattamento, per le perdite e i danni e la crescente riduzione delle emissioni dovrebbe essere il primo punto all’ordine del giorno dopo Parigi.

Mentre l'accordo di Parigi si pone come prospettiva il 2020, la scienza ci dice che, per raggiungere l'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1.5°C o ben al di sotto 2°C, le emissioni devono raggiungere il picco prima del 2020 e da allora in poi diminuire drasticamente. Gli impegni attuali forniscono circa la metà di ciò che è necessario, abbiamo bisogno di ridurre le emissioni di altre 12-16 giga tonnellate di CO2.

“La conferenza sul clima di Parigi non ha solo prodotto un accordo – ha detto Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia – ma ha lanciato un segnale che sprona la comunità globale verso una collaborazione su larga scala per affrontare il problema climatico. Parigi ha raccolto e rilanciato i segnali che arrivano da tutto il mondo:  oltre 1.000 città si sono impegnate a utilizzare il 100% di energia rinnovabile, in Africa  è nato un progetto ambizioso per sviluppare le risorse di energia rinnovabile entro il 2020,  l’India ha lanciato l’International Solar Alliance, che comprende  più di 100 paesi  e mira ad affrontare allo stesso tempo l’accesso all’energia e il cambiamento  climatico. Occorre sviluppare proprio questo tipo di iniziative, ognuno nel proprio Paese e in collaborazione tra i Paesi, per far decollare l’accordo di Parigi. Abbiamo bisogno anche di porci obiettivi ambiziosi e strategie per attuarli: da domani, insieme a tutta la società civile, chiederemo una vera strategia per il clima per l’Italia, in tutti i settori ”

 “L’accordo di Parigi  rappresenta un’importante pietra miliare – dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia- Abbiamo fatto progressi, ma il lavoro non è ancora ultimato. Una volta a casa dovremo lavorare per rafforzare le azioni a livello nazionale sollecitate da questo accordo. Abbiamo bisogno di  garantire che nuove iniziative vengano messe in atto dai governi, dalle città, dalle aziende e dai cittadini, in collaborazione tra loro, perché il taglio delle emissioni sia ancora più radicale, per sostenere la transizione energetica nelle economie in via di sviluppo e  per proteggere i più poveri e vulnerabili. Le nazioni devono quindi tornare il prossimo anno con un obiettivo: aumentare e rafforzare rapidamente gli impegni presi oggi.

“Stiamo vivendo un momento storico –continua Midulla-  Stiamo assistendo all’inizio di una transizione globale verso l’energia rinnovabile. Allo stesso tempo, però, stiamo già subendo gli impatti drammatici del cambiamento climatico in atto. Da Parigi arriva un forte segnale per tutti -   l’era del combustibile fossile si sta chiudendo”.

2016

Clima, è operativo l'accordo di Parigi: fermare la CO2 entro il 2030

“ Il 4 ottobre del 2016, con 610 voti a favore, 38 contrari e 31 astenuti la plenaria del Parlamento europeo ha ratificato l’accordo di Parigi sul clima. “Oggi l’Unione europea ha trasformato le ambizioni sul clima in azione per il clima. L’accordo di Parigi è il primo di questo tipo e non sarebbe stato possibile senza l’Unione europea” ha commentato Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea. Grande soddisfazione anche da parte di Segolene Royal, ministra dell’Ambiente francese e presidente della Cop 21. “Venerdì i 7 Paesi europei che hanno già ratificato l’accordo depositeranno i documenti all’Onu e con questo atto l’accordo entrerà definitivamente in vigore permettendo di superare la soglia del 55% delle emissioni mondiali” ha commentato. Per il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon è un “passo storico“.

La storica intesa sui cambiamenti climatici adottato alla Cop21 del 2015 entra in vigore, a seguito della ratifica di 92 Paesi. Ma è in Marocco che verrà tracciata la road map per il futuro ''sostenibile'' del pianeta.

Ecco i punti principali dell'accordo di Parigi (Cop 21) raggiunto nel dicembre 2015 da 195 Paesi e che potrà entrare in vigore con la ratifica da almeno 55 Paesi, produttori del 55% delle emissioni globali. L'accordo è stato ratificato da Usa e Cina che insieme producono il 38% di emissioni di C02 nel mondo. Con Usa e Cina sale a 23 il numero dei paesi che hanno ratificato l'accordo.

Riscaldamento globale. L'articolo 2 dell'accordo fissa l'obiettivo di restare "ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali", con l'impegno a "portare avanti sforzi per limitare l'aumento di temperatura a 1,5 gradi".

Obiettivo a lungo termine sulle emissioni. L'articolo 3 prevede che i Paesi "puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile", e proseguano "rapide riduzioni dopo quel momento" per arrivare a "un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo".

Impegni nazionali e revisione. In base all'articolo 4, tutti i Paesi "dovranno preparare, comunicare e mantenere" degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari che "rappresentino un progresso" rispetto agli impegni precedenti e "riflettano ambizioni più elevate possibile". I paragrafi 23 e 24 della decisione sollecitano i Paesi che hanno presentato impegni al 2025 "a comunicare entro il 2020 un nuovo impegno, e a farlo poi regolarmente ogni 5 anni", e chiedono a quelli che già hanno un impegno al 2030 di "comunicarlo o aggiornarlo entro il 2020". La prima verifica dell'applicazione degli impegni è fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali.

Perdite e danni. L'articolo 8 dell'accordo è dedicato ai fondi destinati ai Paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti irreversibili a cui non è possibile adattarsi, basato sul meccanismo sottoscritto durante la Cop 19, a Varsavia, che "potrebbe essere ampliato o rafforzato". Il testo "riconosce l'importanza" di interventi per "incrementare la comprensione, l'azione e il supporto", ma non può essere usato, precisa il paragrafo 115 della decisione, come "base per alcuna responsabilità giuridica o compensazione".

Finanziamenti. L'articolo 9 chiede ai Paesi sviluppati di "fornire risorse finanziarie per assistere" quelli in via di sviluppo, "in continuazione dei loro obblighi attuali". Più in dettaglio, il paragrafo 115 della decisione "sollecita fortemente" questi Paesi a stabilire "una roadmap concreta per raggiungere l'obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l'anno da qui al 2020", con l'impegno ad aumentare "in modo significativo i fondi per l'adattamento".

Trasparenza. L'articolo 13 stabilisce che, per "creare una fiducia reciproca" e "promuovere l'implementazione" è stabilito "un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità che tengano conto delle diverse capacità".

I sintomi prodotti dalla febbre del pianeta si stanno manifestando con evidenza crescente: il 2016 si avvia a battere una serie di primati del caldo tutti concentrati in questo inizio di secolo; la fusione sempre più veloce dei ghiacciai della penisola antartica rischia di scatenare un effetto domino che potrebbe alzare il livello del mare di oltre 3 metri; la siccità sta mettendo in ginocchio anche le zone più ricche del pianeta come la California. Ma d’altra parte anche la cura comincia a fare effetto: gli investimenti sulle fonti rinnovabili hanno superato quelli sui combustibili fossili; Cina e Stati Uniti stanno seguendo l’Europa sulla via dell’abbattimento dei gas serra; nel 2014 e nel 2015 le emissioni di CO2 hanno interrotto la crescita iniziando a stabilizzarsi.

L’accordo firmato nel dicembre 2015 a Parigi da 195 Paesi riuscirà a rendere tempestiva la terapia in corso? A curare il paziente prima che sia troppo tardi? Un primo segnale positivo arriverà con l’entrata in vigore del patto per la stabilità climatica. Con una rapidità inconsueta i Parlamenti di 92 Paesi hanno già ratificato il progetto di messa in sicurezza dell’atmosfera superando abbondantemente la quota necessaria a rendere esecutiva l’intesa (almeno 55 Paesi responsabili di almeno il 55% delle emissioni).

Ma Erik Solheim, direttore dell'Unep (il Programma ambiente dell’Onu) avverte: "Ci stiamo muovendo nella direzione giusta: l'accordo di Parigi rallenterà il mutamento climatico, così come farà la recente intesa di Kigali per ridurre gli idrofluorocarburi, però non è ancora abbastanza. Se non iniziamo a intraprendere ora delle azioni aggiuntive, il crescente numero di rifugiati climatici colpiti da fame, povertà, malattie e conflitti sarà un costante promemoria del nostro fallimento nel mantenere gli impegni". L’Unep chiede di tagliare un ulteriore 25% dalle emissioni previste al 2030 perché "il mondo sta andando verso un aumento della temperatura tra i 2,9 e i 3,4 gradi in questo secolo, anche con gli impegni presi a Parigi".

Molte tessere del puzzle climatico devono ancora andare al loro posto per frenare realmente il global warming. Per ora gli impegni volontariamente assunti dai governi non consentono di raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi: impedire un aumento di temperatura superiore a 1,5 - 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Correggere la rotta, perfezionare gli impegni economici e accelerare il percorso è l’obiettivo della conferenza Onu sul clima che si aprirà a Marrakesh, in Marocco.

“L’azione dei governi è lenta, ma l’evoluzione del mercato sta sorprendendo gli analisti per la velocità dei cambiamenti”, ricorda Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club. “Le emissioni di anidride carbonica negli Stati Uniti hanno toccato i livelli più bassi da 25 anni: l’uso del carbone si è ridotto di un terzo rispetto al picco raggiunto nel 2007 a vantaggio di gas e rinnovabili”.

Anche in Cina l’uso del più inquinante dei combustibili fossili ha subito un forte rallentamento. Sessanta grandi centrali, alcune già in costruzione, sono state fermate: è l’equivalente degli impianti a carbone operativi in Gran Bretagna e Spagna. La scelta si inserisce in un trend di fondo sempre più netto. Ad esempio Pechino ha preso l’impegno di abbassare il livello dei gas serra entro il 2020 ma, secondo l’ex chief economist della Banca Mondiale Nicholas Stern, raggiungerà questo obiettivo molto prima: il picco potrebbe addirittura essere stato raggiunto se la flessione delle emissioni, determinata sia dalla diminuzione della crescita del Pil che da una serie di misure virtuose, resisterà alla ripresa economica.

Tra l’altro la Cina, con le città assediate dallo smog, è uno dei tasselli determinanti nello sviluppo dell’auto elettrica: le vendite si sono impennate e la previsione è di chiudere il bilancio delle vendite 2016 a quota 430 mila veicoli con la spina. Norvegia e Olanda poi hanno avviato il percorso legislativo per mettere fuori gioco le auto a combustibili fossili dal 2025. E anche il Consiglio federale tedesco ha approvato una mozione a favore del divieto di circolazione, a partire dal 2030, per le macchine non a zero emissioni.

Segnali netti anche dal mondo dell’energia pulita, con la continua discesa dei prezzi delle fonti rinnovabili. Nel 2015 nel mondo sono stati installati 500 mila pannelli fotovoltaici al giorno e in Cina due turbine eoliche ogni ora. In Cile per una centrale solare è stato proposto un prezzo di vendita pari alla metà di quanto offerto nella stessa gara per una centrale a carbone. E nel prossimo decennio, secondo le previsioni dell’International Energy Agency, avremo più energia elettrica prodotta dalle rinnovabili che dal carbone.

“Anche nel campo dell’edilizia gli investimenti si stanno spostando verso il green”, aggiunge Silvestrini. “L’Institutional Investors Group on Climate Change, un network di 400 investitori che gestiscono 24 mila miliardi di dollari, dopo la conferenza di Parigi ha chiesto all’Unione europea d’introdurre un impegno vincolante per portare entro il 2050 l’intero parco edilizio europeo, anche quello già esistente, a consumi energetici tendenti a zero. E’ considerato un investimento conveniente perché sicuro: la garanzia è data dal risparmio sulle bollette”.”

2017

Da autorevoli fonti

Secondo un nuovo studio sulle ondate di calore dello scorso agosto in Italia, il riscaldamento globale ha reso questi eventi estremi 4 volte più probabili nell'ultimo secolo
La mappa dell'allerta meteo emessa alle 14:20 ora italiana del 4 agosto 2017 da Meteoalarm e gli allerta rosso, arancione e giallo nell'Europa meridionale indicano temperature estremamente elevate.
La possibilità che in futuro si ripetano estati roventi con temperature decisamente sopra la media come quella che abbiamo appena vissuto saranno dieci volte più probabili in futuro rispetto al 1900, conseguenza del cambiamento climatico.
E' questa la conclusione di uno studio realizzato dalla World Weather Attribution che avverte: in mancanza di misure drastiche per contrastare il riscaldamento globale stagioni roventi come quella del 2003 o del 2017 nel 2050 saranno la normalità.
La ricerca ha preso in esame in particolare gli effetti provocati dall'ondata di calore dello scorso inizio agosto su Italia, Francia sudorientale e Croazia, un evento estremo che è stato ribattezzato "Ondata di calore Lucifero", stabilendo che il cambiamento climatico ha moltiplicato per 4 la possibilità di fenomeni simili.
Il lavoro realizzato dai climatologi del World Weather Attribution ricorda anche che la portata esatta degli effetti in termini di danni alla salute e mortalità della popolazione colpita dell'estate torrida potrà essere valutata solo nel corso dei prossimi mesi, quando i dati statistici potranno essere messi a confronto compiutamente, ma che esistono diverse segnalazioni di impennate nei ricoveri per patologie associabili al caldo, come infarti e ustioni, nel corso dei giorni con le temperature più alte.
Gli autori dello studio nelle note metodologiche spiegano che, per valutare l'impatto del cambiamento climatico sui singoli eventi verificatisi nel corso dell'estate, sono state messe a confronto le osservazioni sugli eventi meteo di agosto con le conclusioni dei modelli climatici che predicono lo sviluppo del clima futuro nell'area mediterranea. "Ciò - spiegano - permette di rispondere alla domanda, se e in che misura, fattori esterni e in particolare il cambiamento climatico indotto dall'uomo, possono spiegare i dati registrati nell'estate del 2017".

Il 17 novembre 2017 si è conclusa la ventitreesima conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Molti i temi sul tavolo, e tante le notizie positive. Ma il tempo rimasto a disposizione è sempre più scarso, e se si vogliono raggiungere gli obiettivi fissati a Parigi dobbiamo essere più ambiziosi. Il commento di Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club.
"A Bonn non si è deciso nulla di nuovo" titola il documento di chiusura della ventitreesima conferenza sul clima dell'Onu terminata venerdì 17 novembre. Nonostante non vi sia stata quella modifica al rialzo degli obiettivi fissati a Parigi due anni fa, vi sono anche delle considerazioni positive da fare. Ma molte altre, purtroppo, negative.
Durante le Conferenze sul clima dell'Onu i principali Paesi del mondo fanno politica. Lo hanno capito la Germania e la Francia, oltre che il movimento di Città e Stati che negli Usa si oppone alle scelte di Trump. E lo hanno capito i cinesi. Solo l'Italia sembra essere sorda. Il commento di Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club, e Roberto Della Seta, fondatore di Green Italia.
La ventitreesima Conferenza sul clima di Bonn (COP 23) non passerà alla storia. Durante il vertice i principali Paesi del mondo si sono limitati a confermare gli impegni presi a Parigi nel 2015. Tuttavia, Angela Merkel ed Emmanuel Macron sono intervenuti al summit per ribadire la necessità della lotta verso i cambiamenti climatici. Una scelta dettata da ragioni non solo di politiche ambientali e di politica estera, ma anche interne - soprattutto per quanto riguarda Merkel, alle prese con la formazione di un governo.
Insomma alle conferenze sul clima si fa politica. Lo hanno capito non solo Parigi e Berlino, ma anche il movimento che negli Usa si oppone alle scelte di Trump. Lo hanno inteso i cinesi. "L'Italia invece no: politica non ne ha fatta a Bonn come non ne ha fatta quasi mai nelle conferenze sul clima del passato".
COP23 di Bonn, Germania e Francia rilanciano la lotta contro i cambiamenti climatici. Silvestrini: "Serve un innalzamento degli obiettivi di Parigi".
Angela Merkel ricorda ai Paesi del mondo l'importanza degli impegni assunti a Parigi due anni fa, mentre Macron annuncia l'uscita dal carbone della Francia entro il 2021. Entrambi puntano il dito contro lo scetticismo di Donald Trump. Silvestrini: "Definire le modalità con cui si vanno a conteggiare le emissioni".
"Quella del clima è una sfida centrale per il mondo, una questione di destino dell'umanità". Lo ha detto Angela Merkel durante la Conferenza periodica sui cambiamenti climatici (COP23) in corso a Bonn, la cui presidenza è detenuta dalle Isole Fiji. Anche in un paese "ricco come la Germania" è difficile raggiungere gli obiettivi per la tutela del clima ha osservato Merkel accennando esplicitamente ai "conflitti sociali", per la questione della "sostenibilità del prezzo dell'energia", e la "questione dei posti di lavoro", in un paese che fa grande uso del carbone. Viste le consultazioni, tutt'ora in corso da fine ottobre, per la formazione di governo, la Merkel non ha annunciato nuove misure specifiche, ma ha ricordato l'importanza dell'Accordo di Parigi, e ha ribadito gli impegni già presi. "Devono seguire i fatti alle parole" ha poi detto Merkel, annunciando la l'erogazione di 100 milioni di euro per i Paesi in via di sviluppo per aiutarli a produrre energie alternative. E ha concluso "l'Europa è consapevole della sua responsabilità".

Nel frattempo il presidente francese Emmanuel Macron indica il 2021 come anno limite per l'uscita della Francia dal carbone. Il titolare dell'Eliseo ha poi annunciato che durante il summit nella capitale francese del 12 dicembre, da lui fortemente voluto, "si dovranno avere i primi risultati concreti" dell'intesa.

E sia Berlino che Parigi puntano il dito contro lo scetticismo del presidente Usa Donald Trump. "Spero che l'impegno degli Stati europei possa bilanciare l'uscita degli Usa dall'accordo di Parigi" ha detto ancora il presidente francese auspicando che "lo sforzo" degli stati americani e delle città possa "sostituire" il ruolo di Washington.

"Gli Stati Uniti hanno organizzato una conferenza sul carbone a Bonn tra molte contestazioni" ha dichiarato Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club ai microfoni del GR3, "ma nel frattempo Jerry Brown, governatore della California, ha parlato del possibile raggiungimento del 50% di rinnovabili elettriche in California entro il 2020 anziché entro il 2030". Ma cosa potrà uscire dalla Conferenza di Bonn? "Soprattutto il percorso che ci dovrà portare, nei prossimi anni, ad un innalzamento degli obiettivi di Parigi" ha detto il direttore scientifico, sottolineando anche "la necessità di definire rapidamente le modalità attraverso cui conteggiare le emissioni".
Inquinamento trasporti, la Commissione Ue: taglio emissioni del 30% entro il 2030
La Commissione propone nuovi obiettivi per le emissioni medie di CO2 del nuovo parco autovetture e veicoli puliti dell’UE al fine di accelerare la transizione ai veicoli a basse e a zero emissioni.
La Commissione propone nuovi obiettivi per le emissioni medie di CO2 del nuovo parco autovetture e veicoli puliti dell’UE al fine di accelerare la transizione ai veicoli a basse e a zero emissioni.
La lotta al riscaldamento globale prosegue malgrado Trump
“Promuovere il carbone in un vertice sul clima è come promuovere il tabacco a un convegno sul cancro”, ha dichiarato Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York. Ma è esattamente quello che ha fatto Donald J.Trump. Ha inviato una squadra di diplomatici e responsabili energetici statunitensi all’annuale vertice mondiale sul clima, che si tiene quest’anno a Bonn, in Germania, per esaltare le virtù del carbone “pulito”.
Bloomberg, che è oggi inviato speciale dell’Onu per i cambiamenti climatici, ha ragione. Il pubblico, durante la presentazione degli Stati Uniti, era infastidito nei confronti degli oratori, e li ha anche presi in giro.

Un tempo le persone preoccupate del riscaldamento climatico si chiedevano se il governo degli Stati Uniti avrebbe osato sfidare la lobby dei combustibili fossili in patria. Oggi i negazionisti dei cambiamenti climatici sono al governo negli Stati Uniti. Ma forse la cosa non è così grave.
I motivi sono vari. Uno è che l’utilizzo di carbone su scala globale è in netto declino, dato che il costo delle energie rinnovabili è crollato. Semplicemente, non è più competitivo, e quest’anno la Cina e l’India hanno cancellato i progetti di costruzione di centinaia di nuove centrali a carbone. Anche negli Stati Uniti, la percentuale di elettricità proveniente dal carbone è crollata dal 51 % del 2008 ad appena il 31 % dello scorso anno, e le aziende statunitensi del carbone stanno fallendo.

Il secondo motivo è che la decisione di Trump di fare uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi del 2015 non ha avuto alcun impatto sul piano internazionale. Il timore che altri paesi ritrattassero il loro impegno si è dimostrato infondato, e gli Stati Uniti sono letteralmente l’unico paese al mondo a non aver sottoscritto il trattato.
In realtà Christiana Figueres, ex capo negoziatrice per il clima delle Nazioni Unite, aveva addirittura ringraziato Trump per il suo tentativo di mandare a rotoli l’accordo di Parigi. “La cosa ha generato un’ondata di sostegno senza precedenti a favore del trattato”, ha dichiarato. “Ha rafforzato il sostegno mondiale alle azioni a favore del clima, e per questo possiamo essergli grati”.
Trump, infine, è stato relegato ai margini da un nuovo patto, annunciato a Bonn il 13 novembre, che unirà i 15 stati degli Stati Uniti impegnati in una decisa azione climatica insieme ai governi del Canada e del Messico, in un’alleanza continentale che s’impegnerà a eliminare progressivamente l’energia a carbone, rafforzando quella pulita e i trasporti ecologici. Buona parte del contributo ai tagli di emissioni che Trump aveva ritrattato saranno compensati da queste iniziative statunitensi promosse al livello statale.
Ci sono altri motivi d’inquietudine, naturalmente. Ci sono sempre. Dopo tre anni in cui, pur rimanendo ad alti livelli, le emissioni di anidride carbonica erano rimaste stabili, adesso hanno ripreso a salire. E si è verificato un inspiegabile aumento di emissioni di metano nei tropici, non causato dall’uso di combustibili fossili, il che ha spinto alcuni scienziati a sospettare che uno dei temuti processi di retroazione abbia cominciato a manifestarsi.

Gli effetti di retroazione sono lo spauracchio che aleggia su tutta la questione dei cambiamenti climatici. È possibile fare tutto come si deve, far progressivamente calare le emissioni, essere avviati alla fine del riscaldamento climatico appena prima che la temperatura globale raggiunga i due gradi centigradi d’aumento, e poi all’improvviso tutto il sistema mondiale si rivela comunque in accelerazione. Il riscaldamento già provocato dagli esseri umani potrebbe aver innestato un’altra fonte naturale di riscaldamento che non possiamo arrestare.

Continuiamo a vivere pericolosamente, e non è chiaro se potremo bloccare le emissioni in tempo

Il consenso tra gli scienziati è che il rischio di scatenare processi di retroazione si amplifichi con l’avvicinarsi dell’aumento di due gradi centigradi della temperatura globale, ed è questo il motivo per il quale tutti i governi hanno promesso di non superare mai tale soglia. Ma potrebbe esserci qualche innesco sconosciuto nel sistema in grado di scatenare un riscaldamento fuori controllo anche a una temperatura media globale molto più bassa: tutto questo processo, come dicono gli scienziati, è “non lineare”.

Continuiamo quindi a vivere pericolosamente, e non è ancora chiaro se saremo in grado di bloccare le emissioni abbastanza velocemente da arrestare in tempo l’aumento delle temperature. Ma ci sono alcuni importanti cambiamenti in vista che faciliteranno il taglio delle emissioni: i sostituti della carne, la carne creata in laboratorio, i veicoli elettrici e un ulteriore e rapido calo del prezzo di energie rinnovabili come quelle solare ed eolica.

Oggi inoltre esiste una unità d’intenti che prima mancava: la lunga battaglia tra paesi ricchi e poveri su chi fosse il responsabile del problema e su chi dovesse pagare è perlopiù alle spalle. E sebbene il presidente cinese Xi non si sia presentato di persona a Bonn, la Cina sta decisamente prendendo le redini degli sforzi.

Nessuno a Bonn è felice della defezione degli Stati Uniti nella battaglia contro i cambiamenti climatici, ma il panico è rientrato. Il vertice di Bonn si è concentrato sulle regole per valutare il rispetto delle promesse fatte dai vari paesi sui tagli delle emissioni. Ha dovuto anche immaginare come organizzare le revisioni quinquennali a cui i paesi dovranno adeguarsi progressivamente per applicare obiettivi di riduzione sempre più ambiziosi.

Alla chiusura del vertice, il 17 novembre, non ci saranno nuovi ed eccitanti annunci o svolte, ma non è di questo che abbiamo bisogno. La grande svolta è stata quella di Parigi nel 2015, e l’obiettivo adesso è rispettare le promesse. Fin qui, tutto bene.
Mentre è in corso la conferenza internazionale sul clima a Bonn, la Commissione Ue compie un decisivo passo in avanti nell’attuazione degli impegni presi dall’UE nell’ambito dell’accordo di Parigi per una riduzione vincolante delle emissioni di CO2 di almeno il 40% da qui al 2030 nell’UE.
Secondo la nuova proposta del pacchetto mobilità della Commissione, I produttori auto europei dovranno avere sul mercato entro il 2030 una flotta che abbia il 30% in meno di emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2021. Inoltre sono previste, tra le altre cose, l’introduzione di target intermedi al 2025 per garantire che l’obiettivo per il 2030 sia rispettato, un sistema di incentivi per chi supera la sua quota di veicoli puliti e sanzioni per i produttori auto pari a 95 euro per grammo di emissioni superiori al limite per ogni veicolo.
Il Commissario responsabile per l’azione per il clima e l’energia, Miguel Arias Cañete, ha dichiarato: “La gara mondiale per lo sviluppo di auto pulite è stata avviata e non si può fermare. L’Europa deve però mettersi al passo se vuole condurre e guidare questo cambiamento globale. Dobbiamo individuare obiettivi e incentivi adeguati, ed è ciò che stiamo facendo con queste misure per le emissioni di CO2 per autovetture e veicoli leggeri. Abbiamo obiettivi ambiziosi, ma attuabili e con un ottimo rapporto costi-benefici. Gli investimenti partiranno già ora per gli obiettivi intermedi del 2025. Con gli obiettivi del 2030 daremo stabilità e guida per assicurarne il mantenimento. Oggi investiamo nell’Europa e tagliamo l’inquinamento per rispettare l’impegno preso con l’accordo di Parigi di ridurre le emissioni di almeno il 40% entro il 2030.”

 

2018 - Cop 24 di Katowice

Sono state necessarie 24 ore in più del previsto per consentire ai 196 governi che hanno partecipato alla Cop 24 di Katowice di trovare un’intesa e non far fallire i negoziati. Le regole che il mondo si è dato per rendere operativo l’Accordo di Parigi, però, non sembrano particolarmente ambiziose. E lasciano dubitare che possano consentire di centrare il principale obiettivo dell’intesa raggiunta nel 2015 nella capitale francese, ovvero limitare la crescita della temperatura media globale, entro la fine del secolo, ad un massimo di 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali. E rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi. Ma di passi in avanti ne sono stati fatti pochi. E il nodo delle promesse di riduzione delle emissioni di CO2 – i cosiddetti Indc – non è ancora stato risolto.

Il presidente della Cop 24: “Accordo positivo per il pianeta”

Attorno alle 22:20 di sabato, il presidente della Conferenza – il vice-ministro polacco dell’Ambiente, Michal Kurtyka, ha dichiarato chiusi i negoziati. «È stato – ha affermato – un cammino lungo. L’impatto del pacchetto di misure che abbiamo deciso è positivo per il pianeta. Ci avvicina a concretizzare le ambizioni dell’Accordo di Parigi». Ma il compromesso raggiunto a Katowice, secondo le organizzazioni non governative, non è sufficiente. E riflette le divisioni emerse tra i governi.

Le prime avvisaglie di una conferenza particolarmente difficile, d’altra parte, erano arrivate già nei primi giorni di trattative. Nel corso dei quali, normalmente, sono soltanto i tecnici a confrontarsi. Ma gli ostacoli sono apparsi talmente complessi da aver richiesto già dopo due giorni di lavori l’intervento dei rappresentanti politici.

12 anni per agire o il clima impazzirà

Le difficoltà sono state evidenti, poi, quando è stata pubblicata la prima bozza di conclusioni finali, sabato 8 dicembre. Colma di questioni ancora da dirimere. In particolare, quattro nazioni – Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia e Kuwait – hanno insistito per non inserire parole che lasciassero intendere un sostegno alle conclusioni dell’ultimo rapporto dell’Ipcc sul clima. Secondo il quale, di questo passo, il mondo potrebbe raggiungere i +1,5 gradi centigradi già nel 2030.

“Il testo omette elementi essenziali per rendere la transizione equa e giusta”

“A due mesi dalla pubblicazione di quel documento, la Cop 24 rappresentava un’opportunità per adottare regole utili a contenere la temperatura entro i limiti prefissati. Il testo approvato sabato rappresenta una prima base. Ma omette elementi essenziali per rendere la transizione giusta, inclusiva, equa e per dare risposte ai più vulnerabili, ha commentato in un comunicato la Réseau Action Climat, della quale fanno parte decine di associazioni ambientaliste.

Secondo gli ambientalisti, l’accordo raggiunto alla Cop 24 di Katowice non tutela a sufficienza le popolazioni più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici © U.S. Navy/Getty Images

In particolare, spiegano queste ultime, “il documento non include i temi dei diritti umani, della sicurezza alimentare, dell’uguaglianza di genere”. Inoltre, “benché 128 milioni di dollari siano stati promessi per il Fondo d’adattamento, le regole decise sono troppo poco stringenti per garantire che tali stanziamenti siano reali”. Inoltre, la somma “rappresenta una goccia rispetto a quanto necessario per rispondere alle necessità delle nazioni più vulnerabili”, ha sottolineato Fanny Petitbon della ong Care.

Tutto il testo, inoltre, è particolarmente tecnico. È possibile trovarvi ad esempio una sezione dedicata interamente al modo in cui gli stati dovranno rendere conto dei loro impegni in materia di riduzione dei gas ad effetto serra: da come contabilizzarli a su che base calcolare le diminuzioni. Fino alla flessibilità accordata ai paesi in via di sviluppo sul tema. Ma ciò che appare chiaro è che i “denominatori comuni” sono stati pochi tra i governi. 

Ciò nonostante, alcuni protagonisti dei negoziati come il ministro dell’Ambiente spagnolo, Teresa Ribera, hanno accolto con favore il documento: “È sufficientemente chiaro per rendere operativo l’Accordo di Parigi. E questa è una buona notizia. Date le circostanze attuali, continuare a portare avanti il progetto è già un successo”. “Un fallimento nell’adozione del “rulebook”, dato anche il clima politico internazionale, avrebbe rischiato di rimettere in discussione i passi avanti degli ultimi anni. Ci sono stati progressi sulle regole di trasparenza così come nei fondi stanziati”, osserva Rachele Rizzo, dell’Italian Climate Network.

“Alla Cop 24 i popoli più vulnerabili sono stati abbandonati”

Decisamente più negativo il giudizio di Clément Sénéchal, di Greenpeace: “Si è scavato un fossato tra la realtà dei cambiamenti climatici descritta dalla scienza, con le sue conseguenze drammatiche per le popolazioni di alcune regioni del mondo, e l’azione politica. La Cop 24 ha offerto il triste spettacolo di nazioni che difendono i loro interessi economici e industriali, mentre quelle più vulnerabili si giocano la sopravvivenza. La realtà è che quei popoli sono stati abbandonati”.

Inoltre, il Brasile del presidente in pectore di ultra-destra Jair Bolsonaro ha bloccato le trattative sul mercato mondiale delle emissioni di CO2. Sistema che dovrebbe rappresentare un deterrente economico per chi inquina – in quanto costretto a pagare per ogni tonnellata di emissioni – ma sul quale i governi non hanno trovato un accordo per quanto riguarda la contabilizzazione della CO2 dispersa nell’atmosfera.

Anche la Turchia ha reso complicati i negoziati, come già accaduto in precedenti edizioni delle Cop. Ankara rifiuta infatti di essere classificata nella lista dei paesi sviluppati dell’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Uniti sui cambiamenti climatici, perché ciò le impedirebbe di accedere ad una serie di aiuti finanziari.

Procrastinato un accordo sul mercato delle emissioni di CO2

Le ong, inoltre, hanno puntato il dito contro “la presidenza debole della Polonia che ha limitato la portata del testo”. Ma anche nei confronti della Francia di Emmanuel Macron, “che si era lanciata in progetti diplomatici come il One Planet Summit ma la cui presenza politica a Katowice è stata talmente ridotta al minimo da averne compromesso il ruolo di leader mondiale in seno alle Nazioni Unite”.

Resta irrisolto un altro tema-chiave della lotta ai cambiamenti climatici: quello dei cosiddetti Indc (Intended Nationally Determined Contributions). Ovvero delle promesse di riduzione delle emissioni di CO2 che furono avanzate dai singoli governi prima della Cop 21, nel 2015. Secondo quegli impegni, infatti, la temperatura media globale, alla fine del secolo, aumenterò di oltre 3 gradi centigradi. È chiaro, perciò, che il successo dell’umanità nella battaglia per salvare il clima dipenderà dalla revisione di tali promesse. “Senza azioni immediate – ha osservato in questo senso Jennifer Morgan, direttrice di Greenpeace International –  anche le regole più rigide non porteranno da alcuna parte. Ci aspettavamo degli impegni ma i governi non hanno risposto. Ciò è moralmente inaccettabile”.

Il discorso di Greta Thunberg, 15enne che ha scosso la Cop 24

Il mondo non ha dunque ascoltato le richieste giunte “dal basso”. Come quella della quindicenne Greta Thunberg, che ha scosso i delegati alla Cop 24 con un discorso breve, conciso e particolarmente duro. Rivolgendosi ai rappresentanti dei governi ha affermato: “Voi avete paura di essere impopolari, io no. Quando sarà vecchia un giorno forse mi chiederanno di voi, di cosa avete fatto quando eravamo ancora in tempo per agire. Questa è una crisi e non possiamo risolverla senza trattarla come tale. Ma non siamo venuti qui per implorarvi: ci avete ignorato in passato e lo farete anche stavolta. Siamo venuti qui per spiegarvi che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”.

Il tema degli Indc sarà riproposto alla prossima Cop 25, che si terrà a Santiago, in Cile, nel novembre del 2019. In America Latina, infine, si dovrà affrontare – per l’ennesima volta – il nodo dei 100 miliardi di dollari di trasferimenti dai paesi ricchi a quelli poveri, promessi alla Cop 15 di Copenaghen, nel 2009, e mai stanziati per intero. L’Italia, invece, si è candidata ad ospitare la Cop26, che si terrà nel 2020. A confermarlo è stato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa.

Clima, il 2018 è stato l’anno più caldo in Italia dal 1800

Ambiente Pubblicato il 07 gen 2019 di Simone Santi

Secondo uno studio del Cnr il 2018 è stato un anno record per il caldo: più di 1,58 gradi sopra la media dell'ultimo trentennio. Dati che confermano i cambiamenti climatici.

Il 2018 è stato l’anno più caldo dal 1800 ad oggi per l’Italia: con un’anomalia di +1,58 °C (gradi centigradi) sopra la media, lo scorso anno ha superato il precedente record del 2015 (+1,44 gradi sopra la media). A stimarlo è il Consiglio nazionale delle ricerche, secondo dati statistici che comunque considerano la media di riferimento degli ultimi trenta anni. A parte i mesi di febbraio (con un’anomalia negativa) e marzo (con valori nella media), tutti gli altri dieci mesi del 2018 hanno fatto registrare anomalie positive e nove di essi di oltre un grado rispetto alla media.

Particolarmente eccezionali sono stati i mesi di gennaio (il secondo gennaio più caldo dal 1800 ad oggi con una anomalia di +2,37 gradi rispetto alla media) e aprile (il più caldo di sempre, con un’anomalia di +3,50 gradi rispetto alla media).

Il Cnr-Isac rivela che il #2018 è stato l’anno più caldo dal 1800 a oggi, con un anomalia di +1.58°C sopra la media e ha superato il record del 2015— Ufficio Stampa Cnr (@StampaCnr) 7 gennaio 2019

Secondo il ricercatore Michele Brunetti, responsabile della Banca dati di climatologia storica dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Bologna, “l’anomalia del 2018, se presa in esame singolarmente, non ci permette di trarre conclusioni relativamente alle tendenze in atto; tuttavia, se vista nel contesto degli ultimi 220 anni di storia climatica dell’Italia, è l’ennesima conferma del fatto che siamo in presenza di un cambiamento climatico importante per il nostro paese. Significativo è il fatto che tra i 30 anni più caldi dal 1800 ad oggi 25 siano successivi al 1990. L’eccezionalità del 2018 non ha interessato solo l’Italia, l’anno appena concluso è risultato il più caldo da quando sono disponibili osservazioni anche per Francia, Svizzera, Germania e Austria”.

2020

Cambiamenti climatici – La Cop26 a Glasgow dal 1 al 12 novembre 2021

Il Bureau della Conferenza delle Parti dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), insieme al governo britannico e a quello italiano, hanno concordato le nuove date per la prossima Cop26, che si terrà a Glasgow dall’1 al 12 novembre 2021. La decisione è stata presa dopo consultazioni con i paesi membri dell’UNFCCC.

Le nuove date consentono al governo britannico e quello italiano di mettere l’azione per clima al centro dei lavori del G7 e del G20, dei quali avranno rispettivamente la presidenza di turno il prossimo anno.

La decisione delle nuove date giunge nel momento in cui il governo del Regno Unito ha annunciato che oltre 25 esperti in vari temi globali assisteranno la Presidenza della Cop26. Questi "Friends of COP" contribuiranno con una expertise da paesi di sei continenti, compresi Francia, Barbados, Chad, Australia, India e Perù. Gli esperti assisteranno il governo del Regno Unito e saranno di ispirazione, per i loro settori, in vista della conferenza. Tra i "Friends of COP" ci sono Selwin Hart, Special Adviser to the United Nations Secretary-General on Climate Action, Eric Garcetti, sindaco Los Angeles e Sharan Burrow, segretario generale della International Trade Union Confederation.

Il ministro italiano dell’Ambiente, territorio e tutela del mare, Sergio Costa, ha affermato: “Sono lieto che le consultazioni con le parti hanno reso possibile accordarsi collettivamente e rapidamente per le nuove date della Cop26. Le nuove date significano che la conferenza si terrà quando la tragedia del Covid 19 sarà alle nostre spalle e saremo in grado di assicurare inclusione, che per noi rappresenta un pre-requisito fondamentale per una Cop26 ambiziosa basata su un impegno globale all'azione. Da ora al novembre 2021 sfrutteremo ogni occasione internazionale per accrescere l’ambizione e la mobilitazione, compresi la presidenza italiana del G20 e quella britannica del G7”.

Il presidente della Cop26 e ministro del Regno Unito per il Business, energia e strategia industriale, Alok Sharma, ha dichiarato: “Nonostante siamo concentrati nel combattere la crisi del coronavirus, non dobbiamo perdere di vista la grande sfida del cambiamento climatico. Ora che abbiamo stabilito le nuove date per la Cop26 possiamo lavorare con i nostri partner internazionali nella ambiziosa roadmap di azione globale per il clima da qui al novembre 2021. I passi che stiamo prendendo per ricostruire le nostre economie avranno un profondo impatto sulla sostenibilità, la resilienza e il benessere delle nostre future società e la Cop26 può essere un’occasione in cui il mondo si unisce in nome di una ripresa pulita e resiliente. Tutti dovranno accrescere le proprie ambizioni per affrontare il cambiamento climatico e l'expertise dei "Friends of COP" sarà determinante per contribuire a dare impulso all'azione per il clima in tutto il mondo”.

Carolina Schmidt Zaldívar, presidente della Cop25 e ministro dell’Ambiente del Cile, ha detto: “È molto importante continuare a spingere per l’azione per il clima e l’aver concordato rapidamente le nuove date per la Cop26 è un segno di impegno. Mentre le sessioni degli organi sussidiari sono state rinviate al 4-12 ottobre 2020, il lavoro delle parti e degli stakeholders continuerà attraverso gli incontri virtuali come il prossimo ‘June Momentum’. L’urgenza con la quale i governi e il modo con cui i paesi promuovono la ripresa dopo la crisi Covid 19 influenzeranno direttamente le crisi globali che stiamo sperimentando, come quelle del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Ecco perché continueremo a mobilitare tutti gli attori. Abbiamo bisogno di più ambizione per ridurre le emissioni, costruire resilienza e cooperare”.

La segretaria esecutiva dell'UNFCCC, Patricia Espinosa, ha dichiarato: “I nostri sforzi per affrontare il cambiamento climatico e il Covid 19 non si escludono a vicenda. Se gestita bene, la ripresa dalla crisi del Covid 19 può guidarci verso un impegno per il clima più inclusivo e sostenibile. Onoriamo coloro che abbiamo perso a causa del Covid 19 lavorando con un impegno rinnovato e continuando a manifestare leadership e determinazione nell’affrontare il cambiamento climatico e nel costruire un modo sicuro, pulito, giusto e resiliente”.

Per approfondire: https://www.minambiente.it/pagina/verso-la-cop26-conferenza-preparatoria-ed-evento-giovani-youth4climate-driving-ambition

 
L’ unica concreta speranza per fondare, difendere e tutelare la Democrazia Ecologica rimane la Carta Costituzionale Mondiale, altrimenti con la nostra madre Terra seppelliremo anche le utopie!

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