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Il Giornale dell'Arte

 

 

 

 

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Sardano Vito
Via A. Sereno 13
70043 Monopoli (BA)
Tel. 080 808004
Cell. 347 7156095

 


sardanovito@gmail.com

www.sardanovito.com

 


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1. RISOLUZIONE (Pentagono), installazione multimediale 2004 - 2015, larghezza cm560, profondità  cm510, altezza cm250
2.
UAGLIANZA, installazione multimediale 2004 - 2015, larghezza cm210, profondità cm140, altezza cm168
3.
Dalla serie To Overshoot TOTEM ITALIANO  (Storia), installazione 2012, larghezza cm140,profondità cm140,altezza cm120
4.
Installazione, Rosso HZ, multimediale 2017, larghezza cm100, profondità  cm100, altezza cm30, installazione al muro cm110x100x16
5.
GLOBAL COMUNICATION, multimediale 2004, installazione  altezza cm450, profondità cm250 larghezza cm250
6.
TO OVERSHOOT A34Z, multimediale 2008, cm 92 x 70
Per vedere le foto grandi: destro del mouse sulla foto e clicca su visualizza immagine

 

       VITO SARDANO, ovvero il fascino della pittura reificata

C’è chi crede che col  progredire dell’era  tecno-elettronica  l’arte  sia  destinata  a  scomparire.
Io, consapevole che tali  previsioni  sono  state  avanzate  sin  dalla  scoperta  del  dagherrotipo  (1839)   e ripetute   ad  ogni  scoperta  della  moderna  tecnologia,  non  
sono tra questa  schiera.
L’arte è una  prerogativa  dell’uomo.      
Pertanto, come  il  computer  ed  internet  non prenderanno il posto dei libri, ma li affiancheranno soltanto, altrettanto avverrà per i  manufatti dell’arte, che continueranno  senza  alcun dubbio  ad essere  affiancati  dallaxerox  arte,  dalla  computer art, dalla video arte e da tutti gli altri prodotti più   avanzate  e  sofisticate tecnologie, senza mai prenderne definitivamente il posto.
Infatti sono persuaso che la partita del futuro non si gioca sul tavolo dell’azzeramento dell’arte, bensì sul tavolo dell’arricchimento dei suoi linguaggi e media espressivi. Inoltre parole  l’homo faber non sarà ucciso dall’homo technologicus et electronicus.
Questa premessa mi è sembrata necessaria per introdurre il discorso  su  Vito Sardano, provetto Artista,  che  ha  saputo  coniugare  alla  perfezione  la  sua  creatività con la manualità di homo Faber.  Ed è proprio  da  questo  fertile  connubio  che   è  nato il suo  linguaggio originalmente nuovo, che sa far vibrare le corde  della fantasia  con esiti  fascinosamente poetici, ottenuti con gli oggetti cherchés et sélectionnés  (più che trouvés)  nell’ambito  dell’universo  del suo lavoro di progettista industriale.
Si potrebbe parlare per le opere d’assemblaggio  di  Sardano  di  poesia degli  oggetti. Poesia che sa esprimersi felicemente sia nelle strofe delle composizioni su  tavola che nei poemetti a tutto tondo con la medesima tenuta inventiva e con lo stesso rigore costruttivo;  poesia  ipaginativa nel primo  caso, poesia  tettonica,  nel secondo, dove  i “totem”  oggettuali escogitati nella sua officina  mostrano  che il nostro  artista pugliese  a  saputo  mettere a frutto  con inflessioni personalissime la lezione di Boccioni, il quale sin dal 1912 nel Manifesto tecnico della scultura futurista aveva proclamato  che una  scultura  si  può  fare  anche  con venti   materiali  diversi  dettato che ha costituito la nascita della scultura contemporanea.
Ma, si  badi,  Sardano  non  è  affatto  uno  scultore  neofuturista, così come  non è, nonostante l’utilizzo degli ogetti,  un  pittore  neodadaista.  La  sua lingua  utilizza, si, termini  desunti dal vocabolario futurista  e  dadaista,   per  non  dire  delle inflessioni informali,  concretiste  e costruttiviste, ma la grammatica su cui poggia è fuori di tali tendenze.
E lo è proprio  in  virtù  di una  sintassi  che  di esse riassorbe  le istanze di base trasfigurandole secondo  una   particolarissima   sensibilità   che  per immaginazione  e per  orchestrazione  le trascende nei risultati.
Certo, come  ogni  lingua  anche  quella  di  Sardano  ha  avuto  la sua  evoluzione. Solo che in lui si è  verificato  un  processo  inverso,  rispetto a quello che ha generato il volgare dal latino.
Il suo “volgare” ha preceduto la maturità della lingua d’oggi: ed esso va individuato nella  sua rivisitazione futurista attuata  con  gli olii  degli anni Ottanta,  quando  ancora la concitazione, ora dinamica ed ora sincopata, delle composizioni (e scomposizioni) obbediva più alle pulsioni dell’emozione  che  non  agli   equilibri  dei  pesi  e  contrappesi  della   ratio   ideativa,   aspetto  quest’ultimo che s’è precisato con l’avvento dell’oggetto sulla scena della pittura.
Credo che tale avvento abbia due matrici. Un sempre crescente bisogno di fisicità, determinato dalle  pratiche del suo lavoro quotidiano e l’incoergibile necessità di sfuggire dal caos reificato.
Da artista artigiano egli s’è inventato modi di lavoro in cui,  per  quanto  attiene  alle opere con oggetti,  la pittura fa da controcanto  alla fisicità  degli  inserimenti  di vari  elementi fisici, non senza aver rielaborato pratiche del materismo dell’art autre,  compreso  il  ricorso  alla juta che sfrangia accuratamente come centro  tavola  del suo  desco   pittorico e mescola  alle    materie cromatiche,  ma  per  tutt’altri  esiti  di  quelli  ottenuti  nei Sacchi  da Burri, né più né  meno di quanto fa  nei confronti delle tavole imbandite con ogetti affastellati un  campione del  Noveau Réalisme come Spoerri.
E’ soprattutto  per  evitare il pericolo del caotico  affastellamento  di  elementi,  aspetto  a  cui Sardano talvolta non è sfuggito nei dipinti degli anni Ottanta, ma con meno danno (si sa, nella pittura la pletora degli elementi, proprio per la bidimensionalità del quadro, è limitata alla sola visione, cosa che ne attutisce l’esuberanza),  che  egli  s’è   rivolto  ad   un’impaginazione  degli elementi di cercata geometria oggettuale, dove un tondinato metallico funge da retta o da linea        serpentina, un’asta da parallelepipedo, un disco da cerchio e via  rielaborando oggettualmente forme euclidee, in verità già prefigurate nella pittura  degli  iniziali  anni   Novanta,  talora con aggregazioni di pittorici simboli esoterici che avrebbero fatto  la  gioia  degli   alchemisti e dei massoni (si vedano, al riguardo, Vuoto d’animo del 1991 e Pentacolo del 1992).
Una volta entrato nell’era degli oggetti Sardano  ha   cominciato   a declinare congiuntamente  emozione e ragione, in altre parole esuberanza  espressiva  ed  ordine  compositivo, svariando dai quadri con più dischi su cui sono dipinti simboli, tanto da renderli  sorta  di  medaglie  che finiscono per “decorare” la superficie (Implacabile rotazione,1995), agli altarini triangolari in cui  dischi-equilibristi sono sospesi nello spazio ( Via libera “conquista intensa dello spazio n. 2”, 1997),  oppure si conficcano sull’azzurra superficie scandita da   aste   (Excursus, 1999), giù giù fino alle rade esibizioni su fondi color sabbia delle più recenti composizioni (Itegrità sait, Cerchio incontrastato, Fusione globale, 2000),   che   hanno  il  loro  diapason   nelle    tre        “siringhe” seminterrate nella superfice ricoperta di truciolati di falegnameria del coevo sistema Elga. Sembrerebbe che negli ultimi tempi Sardano abbia  optato  per  rinunce  radicali,  che  si sono ripercosse anche nell’ambito della scultura,  come  sta  ad  attestare  nelle   Strutture   per  installazione del 1999, ciclo propedeutico ai quadri del 2000 testé citati.
Nell’impianto assemblativo di tale  ciclo  sono  prevalse  le  ritmiche  strutturali   delle  tavole spoglie di colore aggiunto, che in considerazione del piacere sensuale per il colore, da sempre evidenziato dal nostro pugliese nella sua produzione,   suona come una  pausa   di  riflessione, quasi ascetica.  Del resto,  in  Sardano   c’è sempre un cordone  ombelicale  che  lega pittura e scultura. Anche per quando attiene ai periodi pre e post l’era  dell’irruzione   dell’oggetto  nel suo fare. Anzi non può sfuggire che, se in realtà s’era già imposto  nei  dipinti  dei  primi anni del  Novanta   (Visione Moto a tratti, 1992),   addirittura con taluni  preannunci   dell’avvento dell’oggetto ascrivibili al 1990, come mi par di cogliere nel  centrale   piano   aggettante   del suggestivo Il teatro dei balocchi, è nell’era degli oggetti che s’è accentuato il ritorno all’ordine        compositivo, assumendo dalla metà degli anni Novanta valore  centrale  nella  produzione  di Sardano, la quale pertanto accentua le ritmiche astratte con dischi e altri elementi desunti dal lavoro extra-artistico in cui egli s’è imposto.
E  mentre  talune  ritmiche  compositive  appalesano  il  fertile  tirocinio  dovuto  al retroterra pittorico citato (si confrontino le iterazioni diagonali di   Moto  a  tratti  del ’92 con  quelle di Impossibile giuntura del ’94, oppure gli incroci con tondo centrale di Vuoto d’animo  del ‘91 con quelli di Rilevato traguardo spazio tempo n. 2 del ’96, ma anche la composizione  ad assi di   Costruzione   n. 2 del ’93  con  quella  lignea  di  Struttura  per  installazione n. 3 del 99), tuttavia è con   l’avvento   dell’era   dell’oggetto che l’ordine compositivo s’è  articolato su scansioni più sobrie, appunto per evitare affastellamenti eccessivi.
Ma non per questo la vis fantastica,   che ha sempre   sostenuto il fare di   Sardano,  è venuta  meno. Ed infatti, ecco che atraverso tale vis l’artista, con Punto d’arrivo indefinito  n. 18 nel ‘ 95 ha saputo costruire il sole del suo regno simbolico, sole che al colmo della sua potenza  irradiante a moltiplicato fino al limite della proliferazione   i  propri raggi   contrassegnati da altrettanti simboli (Confluire, 1995). E poi, una volta tramontato tale sole, nostro  s’è  messo a scrutare il  firmamento   del suo universo pittorico, “fotografandone” le  costellazioni e i pianeti di talune zone, come accade in Sviluppo di un concetto del 1999.
Certo le ritmiche delle oggettuali composizioni pittoriche hanno subìto una  riduzione  degli Elementi, ma l’hanno prontamente risarcita con l’astanza  fisica dei  “bassorilievi”,  istanza  che nell’impatto visivo coinvolge la dimensione tattile.
Questa dimensione, essendo più idonea alla plastica, ha determinato il conseguente approdo alla scultura, in cui l’assemblaggio degli oggetti ha potuto prendere il largo nello  spazio,  in una sorta di navigazione ideativa ed esecutiva   che  sulla  scia  dell’opzione  euclidea  della pittura reificata a permesso a   Sardano   di costruire i suoi totem (Percorribile evoluzione,  1998; Divulgare,1999), i suoi monumenti (Propagare, Iperspazio concettuale, 1998; Episodi Ricorrenti, 1999), persino cosmicamente ricetrasmittenti (Trasmettere,   1999),  e  le  sue piramidi (Profondo concentrarsi del pensiero, 1998;  Diffusione “Vota arte”,   1999),  tutti  straordinari assemblages multimediali, su cui svetta Liberata energia vitale,   totem del 1998  culminante in quel guanto con le dite aperte sul cielo.
Il guanto è ancora un elemento preso di peso  dal mondo  del lavoro  praticato   da  Sardano.
Ma per l’uso che egli ne ha fatto in questo giocoso totem verde esso funziona da   momento vitalizzante che anima tutta l’opera, contraddicendo il sottile richiamo  metafisico  di  taluni  lavori dell’anno precedente, quali Continenza ira violenza sdegno  desiderio sogni "realtà”  ed  i l trittico   Planisferio    dell’arte   concettuale n. 1, dove i guanti  erano  sistemati  nella  medesima   posizione  d i quella  di    caucciò   dipinto  1914 da  Giogio de Chirico in canto d’amore, olio che fece scoppiare a piangere Magritte, quando ne vide la riproduzione   sulla rivista di Mario Broglio “Valori Plastici”.
E non sembri peregrino il richiamo a de Chirico.   Infatti il discorso artistico di  Sardano  è, nonostante tutto, permeato di  mediterraneità,  come i suoi abbandoni  cromatici mi sembra confermino abbondantemente.  Una   mediterraneità   che affonda le radici nella cultura del meridione   d’italia,   dove non sono  infrequenti  i discorsi di di forte sensibilità  materica e fisica, di cui un protagonista negli anni a cavallo tra il Cinquanta e il  Sessanta fu Lucio del Pezzo, artista non a caso passato dagli oggetti affogati nel magma materico a  tavole di una geometria ricca di spessori esoterici ed addirittura alchemici.
L’immaginario di Sardano   appare tutto proteso ad un ricongiungimento con la realtà. Di  qui deriva  la necesità fisica e tattile della sua manipolazione di  ogetti  anche nello  spazio della pittura, spazio che governa con un ordine derivante della ratio geometrica.
Ed è da qui che   zampillano   la sua tecnica   ed il suo estro  d’artista, perché infatti,  come insegnano le etimologie, ars, che in latino significa “abilità, eccellenza in qualche attività”, deriva dall’accadico harasu (compongo, metto insieme), termine imparentato con artigiano, come ci rivela l’ebraico haras (= artigiano), e radicato nella magia, come rivela l’aramaico haras (=artigiano), e radicato nella magia, come rivela l’aramaico hars   (= abilità magica).
Se poi si fa mente locale sul fatto che in greco il termine per arte era  techné,  derivato dal verbo accadico taqanu (disporre in ordine) e dal conseguente  sostantivo teqnu (il disporre ordinatamente,  abbellimento),  si comprenderà  su  quali  sostrati  ancestrali  si  fonda il discorso di  Sardano,  che è  arte, in  quanto è frutto  di un  modo di  comporre, mettendo assieme  diversi  elementi  con  un’abilità  magica che  ricava il suo  fascino  appunto dal disporli in ordine, non   preordinatamente,   com’è   nelle   macchine:   per   esempio,   nel computer, che non a caso i francesi chiamano ordinateur.
E valga questo confronto a ribadire quanto asserito all’inizio  di   questo  testo  sull’arte di Sardano,  che  non  rinnega   le  sue   origine   artigiane,   anzi   le  esalta,    rinverdendo  modernamente l’antico connubio di arte ed artigianato.

       Giorgio Di Genova Roma, Maggio 2000 

 

Via internet tutte le strade portano a Monopoli

Per  le composizioni multimediali di Vito Sardano si può parlare, a  buon  diritto,  di poesia dell’oggetto. Ho vissuto in prima persona, con il  Nouveau Réalisme,  il fenomeno  capitale del ventesimo secolo, l’affermazione della valenza auto espressiva dell’oggetto industriale e della sua virtù concettuale globalizzante, dai ready-mades di Marcel  Duchamp  fino agli oggetti   impregnati   di   blu   IKB  di  Yves  Klein,  passando   dalle   combine-paintings di Rauschenberg.   Non  posso  quindi  essere particolarmente sensibile  all’attuale percorso creativo  di  Vito   Sardano,   poiché   esso    s’inserisce   nel    cuore   della  più   attuale e scottante    problematica   della   nostra    cultura    in     totale   mutazione:    attraverso  il   trattamento dell’oggetto, è del destino dell’immagine e del ruolo dell’arte nella nuova civiltà emergente che si tratta. Dal punto di vista formale, in primo luogo.                                  
La formazione    di   Sardano   si   traduce   in  estrema   meticolosità   nella composizione, in rigore strutturale nella centralità dell’immagine globale, in esuberanza nella proliferazione della simbologia, in grandissima raffinatezza nell’uso del colore. A prima vista, questa sovrabbondanza espressiva rischia di apparire come il marchio di una visione post-futurista che tende al surrealismo. Ma il feticismo decorativo del dettaglio è ben presto trasceso dalla potenza dell’ordinamento e dalla portata concettuale dell’immagine globale. In Sardano il passaggio alla creazione artistica si è unito ad un’intensa riflessione sulla concettualizzazione semantica della composizione  oggettiva.

Questa stretta relazione fra manuale e mentale gli ha consentito, attraverso la sua naturale esuberanza mediterranea e meridionale, di affrontare l’implacabile logica della nostra cultura globale, basata sull’imperativo della comunicazione. Con grande naturalezza Sardano, nel corso quotidiano del suo lavoro, ha saputo far sua la lezione dell’arte concettuale: l’ogetto, generato nel mondo reale, diviene vettore dell’idea. La presenza dei guanti da lavoro in Planisfero dell’arte concettuale (1997) ben simboleggia la presa di coscienza del cambiamento radicale del ruolo dell’arte. Quella del giorno d’oggi non aspira più a rappresentare ma a comunicare. E i lavori di Sardano, infatti, fanno altrettanto. I titoli sono evidenti, da Propagare (1998) a Trasmettere (1999) o a Divulgare (1999) le sculture multimediali sono dei dispositivi di comunicazione elettronica via etere poeticamente travestiti, delle antenne paraboliche che vestono il traje de luz, il vestito di luce dei toreri spagnoli. Queste macchine umanizzate, saturate di contrassegni sensibili, non sono elementi folcloristici. Impongono rispetto poiché segnalano, attraverso i loro quadranti, i loro dischi, le loro rose dei venti, la presenza della sostanza-chiave della comunicazione, l’energia cosmica, quell’energia vitale di cui esse sono gli attrattori. Davanti a Liberata energia vitale (1999), Profondo concentrarsi del pensiero (1998) o Fusione globale (2000) non posso impedirmi di pensare ad Yves Klein ed al suo supremo concetto di energia cosmica: quell’energia immateriale che, circolando liberamente nello spazio, giunge ad animare la nostra sensibilità ed è il fondamento di tutti i linguaggi creativi. Senza di essa tutti i più bei sogni utopici di Yves Klein, a cominciare dalla “conquista intensa dello spazio”, sarebbero stati vani. E’ su questa energia immateriale che si fondano il potere dei media e la loro estensione planetaria. E’ lei che oggi assegna all’arte il suo ruolo di vettore umanistico della comunicazione globale. E’ lei che condiziona il nuovo destino dell’immagine. Questa ha abbandonato gli statici supporti tradizionali per raggiungere il flusso globale dell’informazione attraverso la fluidità, l’evanescenza e il movimento dello spazio televisivo.

Fluidità e movimento, sono i due elementi che mancano alle composizioni e alle sculture di Sardano. L’immagine statica ed oggettiva che l’artista ci presenta attraverso il suo lavoro corrisponde, nella sua profonda finalità concettuale, ai più attuali criteri di diffusione della cultura globale ed agli imperativi spirituali dei protagonisti dell’avventura dell’oggetto che ne sono stati i precursori. Ogni struttura multimediale che l’artista Vito costruisce, con il fervore perfezionista di un lavoro ben fatto, diviene di per sé un assemblaggio che s’inscrive nella grande linea storica dell’avventura espressiva dell’oggetto, come hanno fatto i collage cubisti, futuristi o dada, i ready-mades di Duchamp o le appropriazioni dei Nouveaux Réalistes.

Ma questi assemblaggi multimediali sono portatori di un’immagine globale di fronte alla quale l’artista Sardano assume contemporaneamente un diritto e un dovere: il diritto della concettualizzazione ed il dovere della comunicazione. Queste immagini trovano spontaneamente lo spazio per inserirsi nel flusso generale dell’informazione planetaria. Lo spazio di diffusione dell’immagine sardaniana è quello elettronico della televisione e del sito internet: lo spazio della comunicazione globale, della propagazione, della trasmissione, della divulgazione; quello della “via libera alla conquista dello spazio”, quello della liberazione dell’energia vitale.

L’artista ha così creato in Vito Sardano un meraviglioso paradosso fra il costruttore di oggetti d’arte, la cui destinazione e la galleria o il museo, e l’emittente di immagini concettuali, destinate ad inserirsi nel flusso elettronico della comunicazione. Una soluzione a questa dicotomia: poiché il lavoro manuale è parte integrante dell’insieme del suo dispositivo creativo, Vito Sardano dovrebbe riprendere in video l’intera storia della realizzazione di ogni opera, a partire dall’iniziale ricerca dei materiali di base e la loro progressiva elaborazione, fino all’emergere dell’immagine globale.

Nelle loro performance, che io chiamavo “azioni-spettacolo” i Nouveaux Réalistes non hanno mai separato le modalità dell’azione performante dal suo risultato finale.

Penso ai pennelli viventi di Yves Klein nelle sue Antropometrie, ai Colères di Arman, alle compressioni di automobili di Cesar, di cui la Suite milanaise del 1999 costituisce l’estremo culmine, alle macchine auto distruttrici di Tinguely, il cui capolavoro rimane La Vittoria del 1970 sul sagrato del duomo di Milano. Penso anche ai “tiri” di Niki de Saint-Phalle, ai “pacchi” di Christo, ai Tableaux-piége di Spoerri, ai Décollages degli affichisti e soprattutto di Mimmo Rotella.

Oggi lo spazio naturale dell’informazione performante è lo schermo del computer: ogni oggetto multimediale di Vito Sardano dovrebbe essere accompagnato dal suo ritratto video, l’inseparabile documento che rintraccia la storia dell’immagine globale di cui esso è portatore e garantisce la sua autenticità come oggetto d’arte, cioè come oggetto di comunicazione.

Questa “prova del fuoco” televisivo s’inscrive  nell’inesorabile senso della storia. Con i suoi reay-mades Duchamp aveva perentoriamente affermato che <sono gli spettatori che fanno l’arte>, evidenziando così il peso capitale dell’adesione del pubblico sul piatto della bilancia estetica. La democratizzazione del gusto da lui instaurata arriva oggi, nel nostro periodo di globalizzazione culturale, alla sua fase culminante: il trasferimento della gestione di questa suprema prerogativa della coscienza collettiva ai media, detentori dell’informazione e della memoria planetarie. E’ proprio attraverso lo schermo elettronico del video che si può percepire la portata globalizzante dell’immagine concettuale sardaniana. Dando prova di un notevole “tempismo”, Vito Sardano poeta ispirato dell’oggetto, si trova ormai all’incrocio delle strade o piuttosto al crocevia delle autostrade della comunicazione. Cioè in un contesto ambiguo di centralità incontrastata e quasi impenetrabile, indefinito punto d’arrivo nel quale egli si sente bene. Sceglierà fra la staticità della struttura significante e la diffusione dell’immagine concettuale sullo schermo fluido? O seguirà il mio suggerimento di far coesistere le due cose senza tuttavia sottrarsi alla prova del fuoco telematico? Solo il tempo ci darà una risposta. Sono curioso ed impaziente di conoscerla.

Bravo Vito ed “ad maiora”, sarei tentato di dire riprendendo io le parole di Walter Laganà, sindaco di Monopoli, nell’introduzione al bel catalogo della mostra dell’artista, tenutasi, nel luglio 2000, al Castello di Carlo V della città pugliese, la sua città natale. Monopoli, la città dove oggi Vito Sardano vive e lavora: via internet tutte le strade portano a Monopoli!

Pierre Restany
Milano, Marzo 2002 

Traduzione: Nidia Morra