RICORDI
Siamo nel 1948 subito dopo la guerra quando vennero a Salerno, sbarcati da una nave da carico, dei Giapponesi che insegnarono a noi ragazzini che
frequentavamo la spiaggetta del Porto, a scendere sott'acqua usando degli occhialini di legno ed in mano un'asta con un uncino alla sommità Immediatamente fui affascinato da questo sport ed iniziai a praticarlo con un certo successo. Dopo un pò, spinto da un mio caro amico, ho voluto provare ad usare un respiratore. Cominciai con un respiratore ad ossigeno, molto "marchingegnoso" e dagli scarsi risultati di
profondità (3-4 mt). Insoddisfatto, dopo un pò, sono passato ad usare le
bombole ad aria. A quell'epoca non esistevano ancora i corsi di specializzazione ne brevetti vari, ma vigeva l'uso del "fai da te". Non esistevano nemmeno le "Mute in neoprene" e le pinne erano delle "cose" mostruosamente rudimentali. Naturalmente già si conosceva la decompressione ma con tabelle empiriche ed alquanto approssimate. L'aiuto di un "Corallaro" Carminuccio, mi è stato molto utile e trascinato da lui, arrivai a toccare i 30-40 metri. Ricordo che eravamo un gruppetto di ragazzini, Umberto, Nicola, Ninuccio ed io, capitanati da un adulto il Sig. Agostino che poi la sera ci ospitava nel suo laboratorio di orologeria a raccontarci le sue e nostre gesta; le sue avventure erano memorabili e
mirabolanteschemente pantagrueliche e noi per rispetto lo ascoltavamo in silenzio: rimasta poi negli annali e tramandata da padre in figlio quella della "caverna" .... raccontava... "ero andato ad Erchie per fare una
sommozzata, e scendendo lungo la parete, improvvisamente vidi davanti a me uno spacco nella roccia, entrai e mi trovai dentro una caverna, era grande, ma che dico, enorme, la chiesa di
S. Pietro era un buchetto in confronto... arrivato in fondo mi trovai improvvisamente davanti a due fari di un autocarro... enormi... impressionanti... senza paura mi avvicinai e capii che erano semplicemente gli occhi di un gigantesco polpo... non avevo il fucile... avevo solo il coltello e senza indugio sferrai un fendente accecandogli un occhio, poi con un altro colpo gli staccai un tentacolo che a stento
riuscì a riportare in superficie... pensate ragazzi che ci abbiamo mangiato per due settimane con la mia famiglia..."
Questi erano i racconti, ma io quando riuscivo ad andare in acqua ero preso da altri pensieri ed emozioni molto più reali.
Mano mano che scendevo, la sensazione era quasi indescrivibile, i colori attenuati dalla profondità, il silenzio interrotto solo dal rumore dell'aria che usciva dall'erogatore, i pesci per nulla spaventati che venivano quasi a mangiarci in mano, il corallo (in Costiera Amalfitana ancora c'era) e le gorgonie con i loro splendidi colori, era la stessa sensazione che provavo quando scendevo in apnea, ma il tutto amplificato e sorretto dalla consapevolezza di non dover risalire in
superficie per respirare: era tutto protratto quasi all'infinito. Era tornare nel ventre della propria madre ed assaporare la splendida sensazione di quasi immortalità, volavo nel blu!
Ora a distanza di tanti tanti anni, rimpiango quei tempi eroici. Noi a Salerno eravamo dei pionieri e non lo sapevamo. Ora che non posso fare più nemmeno l'apnea, mi rimane solo il ricordo melanconico di un tempo che
fu e che ho la consapevolezza che non possa ritornare mai.
Roberto Monastero |